Successivamente all’installazione di sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore, le spese di riscaldamento, come disposto dispone dal Dlgs 102/2014 (articolo 9, comma 5, lettera d) sono da ripartire tra i singoli condòmini in base ai criteri stabiliti dalla norma Uni 10200.
La norma, si basa sul principio cardine secondo il quale ciascun utente deve pagare in relazione all’effettivo consumo, ma la ratio risulta di fatto più “nobile”, in quanto ha come scopo ultimo la riduzione di emissione di gas serra da parte degli impianti di riscaldamento, principale fonte di emissione di CO2.
La disposizione risulta inderogabile, ovvero non può essere messa in discussione da un regolamento condominiale di natura contrattuale, né tantomeno essere modificata dall’assemblea di condominio.
Consumo volontario ed involontario
Il totale del costo per il riscaldamento condominiale viene ora diviso in prelievo volontario, connesso all’effettivo consumo, e in costo involontario derivante dalle perdite e dalle inefficienze dell’impianto.
La quota di consumo involontario viene computata in sede di diagnosi da parte di un termotecnico, valutando in modo analitico il sistema di produzione (caldaia) e di distribuzione (tubazioni/montanti) e quindi sintetizzata nella nuova tabella di riscaldamento.
La quota volontaria può essere calcolata in modo esatto (diretto) mediante l’applicazione di contatori di calore per ogni appartamento, ma la gran parte degli impianti è strutturata a montanti pertanto l’apposizione di contacalorie risulta poco economica. In questi casi si utilizza la cosiddetta contabilizzazione indiretta, mediante l’applicazione di ripartitori sui singoli termosifoni, i quali registrano la temperatura di questi ultimi nel tempo, misurazioni che vengono poi parametrizzate dal tecnico secondo la tipologia di radiatore (numero di elementi, materiale, etc.) per ottenere un numero che ci indica con buona approssimazione il reale consumo di calore.
Se lo stesso generatore, oltre che al riscaldamento, è adibito alla produzione di acqua calda sanitaria, bisogna stabilire la quantità di energia prodotta a tal fine. In questi casi la miglior soluzione è installare due contatori generali che misurino l’energia utilizzata per il riscaldamento e i consumi di acqua calda sanitaria.
Esclusione dalla norma
Esistono comunque dei casi in cui non è tecnicamente possibile applicare la norma Uni 10200, o il suo utilizzo è sperequato in termini di costi rispetto all’obiettivo del risparmio energetico.
Come previsto dal Dlgs 141/2016 (che ha modificato, sul punto, il Dlgs 102/2014), questo si verifica quando «siano comprovate, tramite apposita relazione tecnica asseverata, differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio o l’edificio polifunzionale superiori al 50 per cento».
Quindi in presenza di una relazione tecnica che attesti tale differenza di fabbisogno termico, l’assemblea può decidere di suddividere le spese attribuendo almeno il 70% di consumo volontario e ripartendo la restante percentuale in proporzione alla superficie, alla cubatura o al valore (millesimi di proprietà).
La maggioranza in assemblea
In presenza di una prestazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le delibere possono essere assunte con la maggioranza degli intervenuti e almeno 333 millesimi (articolo 26, comma 2, della legge 10/1991).
Anche se vi è un orientamento giurisprudenziale il quale considera che, visto il carattere inderogabile della norma, non è necessaria alcuna delibera, e l’assemblea si limiterà a votare (con la maggioranza semplice) l’affidamento dell’incarico al tecnico che andrà a compilare la relazione tecnica sulle eventuali differenze di fabbisogno termico.
Resta sempre e comunque fermo il diritto del condomino a impugnare il voto dell’assemblea che approva il rendiconto usando un criterio di riparto delle spese ritenuto illegittimo.