Archivi tag: riscaldamento

Riscaldamento condominiale a biomassa

Tra le possibilità per il riscaldamento condominiale esiste da molto la possibilità di svincolarsi dal gas ed utilizzare generatori di calore a biomassa.

Nell’ambito specifico, per biomasse si intendono tutti i prodotti di origine vegetale (legna da ardere, cippato, pellet) idonei a produrre una combustione . Il pellet è tra queste il combustibile da biomassa di elezione per il riscaldamento condominiale:

  • la combustione è controllabile, efficiente e quasi senza fumo (le proprietà del combustibile sono predicibili);
  • la gestione, il trasporto e il carico non presentano particolari difficoltà;
  • il costo del kWh è al momento paragonabile se non inferiore a quello del gas metano ;
  • il costo della materia prima è svincolato almeno in modo diretto, da dinamiche geopolitiche;
  • il costo del combustibile al netto del trasporto (poche decine di euro) è finito;
  • è spesso oggetto di incentivi come ad esempio l’IVA agevolata.

Attenzione però, spesso i termini biomassa e energie rinnovabili si confondono. Solo le biomasse provenienti da fonti gestite in maniera responsabile, con una pianificazione pluriennale del ciclo vegetativo naturale, possono essere definite tali, in quanto se una fonte di energia viene consumata ad una velocità uguale o superiore rispetto a quella necessaria alla natura per produrla, non può essere definita rinnovabile.

La caldaia a pellet è un sistema facilmente integrabile negli attuali impianti essendo possibile la realizzazione modulare per soddisfare anche elevati requisiti di potenza, nonchè l’eventuale telegestione del calore risultano pressochè invariate. Per quanto riguarda il costo del generatore, lo stesso risulta essere circa 1.5 -2 volte più elevato rispetto ad un sistema di pari potenza a metano.

Vediamo ora gli aspetti che riguardano specificatamente il condominio

Pur potendo la gestione della caldaia e dei suoi parametri essere telegestita, l’approvvigionamento e il carico del serbatoio presentano alcune criticità, che rendono tale soluzione poco idonea (almeno tranne pochi rari casi) all’utilizzo in condominio:

  • il combustibile viene fornito in pallet da circa una tonnellata che richiedono uno spazio per lo stoccaggio (circa 3-4 mq a pallet considerando anche lo spazio necessario alla movimentazione);
  • il numero di pallet necessari durante la stagione termica sono circa pari a circa la metà delle unità da riscaldare (10 appartamenti/negozi richiedono circa 5-6 pallet a stagione), anche se non è necessario l’acquisto di tutto il combustibile in un’unica soluzione;
  • il carico del serbatoio, che avviene in modo autogestito, durante i giorni più freddi deve essere eseguito giornalmente;
  • deve essere eseguita la pulizia del cassetto cenere e del braciere (anche questa operazione autogestita) ogni 2-3 giorni.

In ragione di quanto sopra descritto la realizzazione di tali impianti in condominio pur essendo economica sul medio – lungo termine, risulta in scelte radicali che richiedono un coinvolgimento e un apporto diretto da parte dei condomini, apporto che spesso gli stessi per i motivi più disparati, non sono disposti a dare.

Studio Cerello & Chesini srl © 2023

Maggioranze assembleari for dummies

La maggioranza è intesa comunemente, nell’ambito decisionale, come la maggioranza delle persone che esprimono una decisione omogenea sul totale dei presenti, formalmente essa si quantifica nella metà più uno del totale dei partecipanti.

La necessità di distinguere varie tipologie di maggioranze nasce dalla natura stessa delle delibera a cui pervenire. Difatti nel caso specifico del condominio, ogni condòmino possiede un certo peso nel voto datogli dalla caratura millesimale e questo aspetto viene preso in considerazione per la determinazione del cosiddetto quorum, ovvero la quantità limite al di sotto della quale l’assemblea non può costituirsi (quorum costitutivo) e deliberare (quorum deliberativo), per una data tipologia di delibera. Il quorum in qualche modo stabilisce la quota minima di rappresentanza.

Comunemente si distinguono, in ambito condominiale, le tipologie di maggioranze in: semplice, qualificata, assoluta.

La maggioranza semplice è utilizzata per le delibere di ordinaria amministrazione i cui limiti non sono prestabiliti a norma di legge oppure non stabiliti in regolamenti di natura contrattuale, ad esempio: l’incarico ad una ditta per la manutenzione ordinaria o la pulizia, ma con la legge di bilancio in merito di riqualificazione energetica è stata estesa la possibilità di deliberare utilizzando questo tipo di maggioranza. Nel caso di un’assemblea che delibera a riguardo in seconda convocazione risulta quindi in un totale di rappresentanza, ovvero la somma dei millesimi degli intervenuti (compresi i deleganti), di almeno un terzo del valore totale (333,33 millesimi) e la maggioranza di questi, ovvero quella comunemente intesa come maggioranza delle teste.

Per maggioranza qualificata si intende, la maggioranza espressa nell’art.1136 del cod.civ. . Quella più comune è quella formalizzata al comma 2, ovvero: Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la meta’ del valore dell’edificio. Sempre nello stesso articolo, sottoposto a revisione dalla legge 220/12, si fanno gli opportuni rimandi al 1117ter per quanto riguarda la modifica della destinazione d’uso delle parti comuni, al 1120 per le innovazioni oppure al 1122 per opere ad uso privato sulle parti comuni.

La maggioranza assoluta (sul valore totale, ovvero 500 millesimi) è necessaria per deliberare invece sul distacco dall’impianto di riscaldamento dal quale derivino notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini, oppure innovazioni che rendano porzioni di parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condòmino.

Nel caso dell’unanimità, chiaramente la tipologia di maggioranza gerarchicamente più importante, la stessa si rende necessaria in poche occasioni come ad esempio per la modifica del regolamento condominiale, nel caso esso sia di natura contrattuale.

UNI 10200: un breve excursus e casi particolari

Successivamente all’installazione di sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore, le spese di riscaldamento, come disposto dispone dal Dlgs 102/2014 (articolo 9, comma 5, lettera d) sono da ripartire tra i singoli condòmini in base ai criteri stabiliti dalla norma Uni 10200.

La norma, si basa sul principio cardine secondo il quale ciascun utente deve pagare in relazione all’effettivo consumo, ma la ratio risulta di fatto più “nobile”, in quanto ha come scopo ultimo la riduzione di emissione di gas serra da parte degli impianti di riscaldamento, principale fonte di emissione di CO2.

La disposizione risulta  inderogabile, ovvero non può essere messa in discussione da un regolamento condominiale di natura contrattuale, né tantomeno essere modificata dall’assemblea di condominio.

Consumo volontario ed involontario

Il totale del costo per il riscaldamento condominiale viene ora diviso in prelievo volontario, connesso all’effettivo consumo, e in costo involontario derivante dalle perdite e dalle inefficienze dell’impianto.

La quota di consumo involontario viene computata in sede di diagnosi da parte di un termotecnico, valutando in modo analitico il sistema di produzione (caldaia) e di distribuzione (tubazioni/montanti) e quindi sintetizzata nella nuova tabella di riscaldamento.

La quota volontaria può essere calcolata in modo esatto (diretto) mediante l’applicazione di contatori di calore per ogni appartamento, ma la gran parte degli impianti è strutturata a montanti pertanto l’apposizione di contacalorie risulta poco economica. In questi casi si utilizza la cosiddetta contabilizzazione indiretta, mediante l’applicazione di ripartitori sui singoli termosifoni, i quali registrano la temperatura di questi ultimi nel tempo, misurazioni che vengono poi parametrizzate dal tecnico secondo la tipologia di radiatore (numero di elementi, materiale, etc.) per ottenere un numero che ci indica con buona approssimazione il reale consumo di calore.

Se lo stesso generatore, oltre che al riscaldamento, è adibito alla produzione di acqua calda sanitaria, bisogna stabilire la quantità di energia prodotta a tal fine. In questi casi la miglior soluzione è installare due contatori generali che misurino l’energia utilizzata per il riscaldamento e i consumi di acqua calda sanitaria.

Esclusione dalla norma

Esistono comunque dei casi in cui non è tecnicamente possibile applicare la norma Uni 10200, o il suo utilizzo è sperequato in termini di costi rispetto all’obiettivo del risparmio energetico.

Come previsto dal Dlgs 141/2016 (che ha modificato, sul punto, il Dlgs 102/2014), questo si verifica quando «siano comprovate, tramite apposita relazione tecnica asseverata, differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio o l’edificio polifunzionale superiori al 50 per cento».

Quindi in presenza di una relazione tecnica che attesti tale differenza di fabbisogno termico, l’assemblea può decidere di suddividere le spese attribuendo almeno il 70% di consumo volontario e ripartendo la restante percentuale in proporzione alla superficie, alla cubatura o al valore (millesimi di proprietà).

La maggioranza in assemblea

In presenza di una prestazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le delibere possono essere assunte con la maggioranza degli intervenuti e almeno 333 millesimi (articolo 26, comma 2, della legge 10/1991).

Anche se vi è un orientamento giurisprudenziale il quale considera che, visto il carattere inderogabile della norma, non è necessaria alcuna delibera, e l’assemblea si limiterà a votare (con la maggioranza semplice) l’affidamento dell’incarico al tecnico che andrà a compilare la relazione tecnica sulle eventuali differenze di fabbisogno termico.

Resta sempre e comunque fermo il diritto del condomino a impugnare il voto dell’assemblea che approva il rendiconto usando un criterio di riparto delle spese ritenuto illegittimo.