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110% e oltre: considerazioni e prospettive sulla riqualificazione energetica dei condomini

Super ecobonus: quanto se ne è parlato, più o meno a proposito e tra pochi giorni sarà definitivamente acqua passata (a meno di proroghe dell’ultima ora).

Ideata come opportunità per tutti o quasi e finita soprattutto per i condomini, come una lotteria. Colpa dei continui aggiustamenti normativi (senza considerare l’asincronia tra Legislatore e Agenzia dell’Entrate propria di una burocrazia fine a se stessa) che anche se minimi a volte, potevano occasionalmente essere utilizzati da alcuni professionisti ed imprese come alibi o pretesti per allungare tempistiche, affrontare la fase progettuale e cantieristica con una maggiore tranquillità oppure per poter bypassare senza troppi scontri l’iter globale o gli interventi trainati; colpa dell’incidenza di abusi edilizi che hanno, in funzione della loro entità, precluso o rallentato l’accesso all’iter; colpa l’improvviso aumento dei prezzi dovuto alla forte richiesta da una parte e alla speculazione dall’altra.

Questo ha avuto un primario effetto negativo, di natura psicologica: un’aspettativa creata nel condomino, quasi sempre disattesa .

Nonostante la complessità e la molteplicità di figure coinvolte oltre che per i motivi sopra esposti, il 110% ha generato scontento, a volte anche in chi ne ha usufruito (cronoprogrammi disattesi, imprevisti non a computo). Ma è l’amministratore condominiale che ha dovuto subire suo malgrado la gestione di tutti gli iter, gestione fatta praticamente a titolo gratuito se l’iter non è stato finalizzato, senza sommare poi il malcontento di chi non ha potuto accedere, come se ci fosse stata qualche correlazione od oscura volontà dell’amministratore e non inerzia o poca professionalità di alcuni addetti ai lavori.

Ma andiamo oltre…

Il vicino futuro ci offre ancora delle opportunità che devono essere colte sì, ma con soluzioni ottimizzate. Infatti il 110%, per la sua natura, ha comportato spesso soluzioni molto elaborate come gli impianti ibridi termici-aerotermici per la maggiore, ma anche celle a combustibile e cogenerazione, le quali senza il supporto di un così cospicuo margine di detrazione, sarebbero state economicamente sconvenienti (costo dell’energia e di gestione congiunto) rispetto ad una soluzione più standard (solo generatore a condensazione). La detrazione fiscale fino all’85% (a seconda della tipologia di intervento) detraibile in 10 anni, viene in aiuto di tutti i condomìni intenzionati a riqualificarsi. Resta fondamentale rivolgersi a professionisti e ditte serie e in questo il 110% ha in reltà veramente aiutato, avendo reso possibile l’emergere, per una quota non trascurabile di soggetti (non si faranno nomi), di una pochezza disarmante.

Studio Cerello & Chesini srl © 2023

Autoconsumo e comunità energetica: definizioni e prospettive in vista del super ecobonus

A partire dal decreto legge 162/19 (art.42 bis) è possibile per i clienti finali, consumatori di energia elettrica, associarsi per produrre localmente, tramite fonti rinnovabili, l’energia elettrica necessaria al proprio fabbisogno e condividerla.

L’energia elettrica “condivisa”, stabilita come pari al minimo della differenza, su base oraria, tra l’energia elettrica immessa in rete dagli impianti di produzione e l’energia elettrica prelevata dai consumatori che rilevano per la configurazione, beneficia di un contributo economico riconosciuto dal GSE, ovvero dal Gestore dei servizi energetici GSE S.p.A. che è una SpA interamente controllata dal Ministero dell’economia e delle finanze.

Due sono le possibilità che si configurano in tal senso:

  • il gruppo di autoconsumo;
  • la comunità energetica.

Un gruppo di autoconsumatori rappresenta un insieme di almeno due autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente in virtù di un accordo privato e che si trovano nello stesso condominio o edificio. Per autoconsumatore di energia rinnovabile si intende un cliente finale che, operando in propri siti ubicati entro confini definiti, produce energia elettrica rinnovabile per il proprio consumo e può immagazzinare o vendere energia elettrica rinnovabile autoprodotta purché, per un autoconsumatore di energia rinnovabile diverso dai nuclei familiari, tali attività non costituiscano l’attività commerciale o professionale principale. L’impianto di produzione dell’autoconsumatore di energia rinnovabile può essere di proprietà di un soggetto terzo e/o gestito da un soggetto terzo, purché il soggetto terzo sia in grado di accogliere le istanze energetiche dell’autoconsumatore .

A livello condominiale ciò determina un grosso vantaggio in quanto un unico sistema fotovoltaico (pannelli, inverter, eventuali sistemi di regolazione /carica e accumulatori) può servire diverse unità con un grande abbattimento dei costi di installazione, gestione e manutenzione, consentendo di rientrare rapidamente dell’investimento. Il super ecobonus, in tal senso risulta un’opportunità che permette l’installazione di tali sistemi (opera trainata) praticamente senza esborso.

Una comunità di energia rinnovabile è invece un soggetto giuridico che:

  • si basa sulla partecipazione aperta e volontaria, è autonomo e controllato dai membri che ne fanno parte;
  • i membri costituenti possono essere persone fisiche, piccole e medie imprese (PMI), enti territoriali o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali, a condizione che, per le imprese private, la partecipazione alla comunità di energia rinnovabile non costituisca l’attività commerciale e/o industriale principale;
  • il cui obiettivo principale è fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai propri membri (non deve avere come obiettivo primario il lucro).

Antenne televisive in condominio: considerazioni post-riforma

Per poter usufruire dei programmi tv a pagamento, o per potesrsi collegare al satellite (Tv-Sat) data l’insufficienza del digitale terrestre, è necessaria l’installazione di una parabola.

In condominio i risvolti, come noto, possono essere molteplici: salvaguardia del decoro architettonico dell’edificio e dell’aspetto paesaggistico, compatibilità con i regolamenti comunali, decisioni delle assemblee sugli assetti condominiali.

Vediamo innanzitutto le diverse casistiche.
Antenna singola
Il diritto all’installazione di impianti radiotelevisivi è ora per la prima volta esplicitamente regolato, nella normativa condominiale, dal 1122-bis c.c. introdotto dalla riforma del 2012. In passato, si erano avute a varie riprese (dalla legge n. 554/1940 a tutti i provvedimenti successivi, poi assorbiti nel D.Lgs. 259/2003) disposizioni di carattere generale che confermavano questa facoltà riconosciuta dalla giurisprudenza come diritto soggettivo perfetto di natura personale (Cass. 12295/03, ma già Cass. S.U. 3728/76) al quale vien data la base costituzionale (art. 21) del diritto all’informazione (Cass. 7418/83). Il termine “radiodiffusione”, usato dalle precedenti leggi, si riteneva comprensivo anche della diffusione televisiva (v. già Cass. 2862 /94 e poi D.M. delle comunicazioni 11/11/05). Tale diritto compete, oltre che al condomino, anche al conduttore (Cass. 1176/86 e D.Lgs. 259/03 che parla all’art. 91 di “richieste di utenza degli inquilini o dei condomini”).
Le antenne si possono collocare su qualsiasi parte dell’immobile, anche altrui, purchè rispettino le seguenti condizioni poste dal complesso delle varie norme interessate:

a) recare il minor pregiudizio alle parti comuni ed alle proprietà private;

b) preservare in ogni caso il decoro architettonico, la stabilità e sicurezza dell’edificio;

c) non pregiudicare il libero uso della proprietà altrui secondo la sua destinazione;

d) non impedire agli altri condomini di fare parimenti uso del bene comune secondo il loro diritto;

e) non alterare la destinazione di tale bene. La possibilità di un “minimo pregiudizio” costituisce una deroga al principio generale di evitare ogni danno alle parti comuni (v. ad es. 1122) ed ai beni privati (209 D.Lgs. 259/03).

L’installazione non richiede alcuna autorizzazione e può avvenire sulle parti private altrui solo nell’impossibilità di utilizzare spazi propri o di avvalersi di un’antenna comune (Cass. 9427/09 e Cass. 9393/05). I proprietari delle varie unità immobiliari devono consentire l’accesso per la progettazione e l’esecuzione delle opere; gli stessi ed il condominio non possono opporsi nemmeno al passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto (con i limiti di salvaguardia sopra indicati).
Il criterio generale di preventiva informazione dell’amministratore per ogni opera da eseguire nell’edificio (su beni propri o condominiali) si applica, per l’antenna, solo se occorre procedere a modifiche delle parti comuni. In tal caso scatta una particolare procedura che vede l’assemblea legittimata (con la maggioranza di 2/3 del valore edificio) ad imporre modalità “alternative” di esecuzione, cautele a salvaguardia della stabilità, sicurezza o decoro del fabbricato, nonché garanzie per eventuali danni. Naturalmente, in caso di disaccordo si arriverà all’intervento del giudice e dei periti. Si può, comunque, ritenere che l’amministratore debba procedere alla convocazione dell’assemblea straordinaria (e senza indugio) solo quando ciò si dimostri necessario od anche solo opportuno, secondo la comune esperienza, per il tipo e l’entità delle modifiche evidenziate dal contenuto specifico e dalle modalità di esecuzione che l’utente è obbligato ad indicare. L’amministratore può avvalersi del parere del consiglio di condominio, ma in definitiva la responsabilità per ogni valutazione rimane a suo carico.
L’antenna individuale, in quanto diritto autonomo ed insopprimibile, è indipendente dall’esistenza originaria o sopravvenuta della centrale condominiale, che viene prevista da altra norma (1120 c.c.) senza che fra le due situazioni esista gerarchia di sorta; ed ancor prima degli accennati sviluppi legislativi i giudici avevano sempre riconosciuto l’autonomia del diritto del singolo, dichiarando nulla la delibera che vieta l’antenna per il solo fatto dell’esistenza di un impianto centrale (Cass. 7825/90; Cass. 5399/85). Di conseguenza l’assemblea non può impedire l’installazione, né imporre la rimozione dell’antenna; ed a sua volta l’amministratore non potrebbe eseguire una delibera palesemente nulla (a pena anche di eventuali reati, come ad es. danneggiamento).
Le stesse caratteristiche del diritto, che ne escludono la natura “affievolita” (cioè di interesse legittimo), impediscono che le normative dei Comuni possano pregiudicarlo. In linea di massima gli enti territoriali possono incidere su luogo e modalità di posizionamento (ubi e quomodo) ma non sull’an (installazione), poiché il diritto è garantito da leggi dello Stato; mentre invece possono pretendere che le parabole siano accorpate. Gli aspetti che vedono il loro intervento sono essenzialmente due. Il primo riguarda la tutela del paesaggio, che ha un fondamento costituzionale nell’art. 9 Cost. La l. 249/1997 (c.d.”legge Maccanico”) aveva imposto ai Comuni di emanare un regolamento sull’installazione degli apparati di ricezione delle trasmissioni radiotelevisive satellitari nei centri storici al fine di garantire la salvaguardia degli aspetti paesaggistici. Il perseguimento di un tale interesse pubblico e l’ineludibile tutela di un diritto individuale comporta la necessità di un bilanciamento fra le due situazioni protette, che si richiamano a norme di rango primario.
L’altro campo di intervento è quello del decoro architettonico, che la nuova disciplina impone di “preservare in ogni caso” (1122-bis). La perentorietà della disposizione porta a ritenere che la linea di tolleranza finora tendenzialmente adottata deve subire un’inversione di rotta perchè, dopo la riforma, la tutela di questo bene viene a prevalere sul diritto all’antenna, trasformato in “anarchia” da un inarrestabile fenomeno di massa (relativo a parabole, climatizzatori, telefonia, ecc.) che ha modificato in qualche misura il comune senso dell’estetica e del decoro. In genere i regolamenti edilizi locali consentono solo antenne e parabole centralizzate sul tetto ovvero, in caso di impossibilità tecnica, antenne singole ridotte al minimo poste sempre sulla copertura e non sulla facciata.
Il problema è che non esiste una definizione legislativa del decoro architettonico e la sua valutazione deve essere perciò effettuata caso per caso, con un’indagine di fatto riservata al giudice di merito (già Cass. 428/84 e da ultimo Cass. 20985/14). Secondo gli indirizzi giurisprudenziali, è vietata quell’opera che alteri le linee architettoniche del fabbricato o che si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso. Bisogna aver riguardo sia all’intero edificio che a singole parti o elementi dello stesso dotati di sostanziale autonomia, ed alla consequenziale diminuzione del valore di ciascuna delle unità immobiliari che lo compongono (Cass. 53/14; Cass. 1286/10, ecc.). Per una parte della giurisprudenza è necessario tener conto dello stato dell’edificio al momento in cui l’innovazione viene posta in essere e dunque la lesività estetica non è rilevante se il decoro architettonico era già stato gravemente compromesso da altre precedenti opere sull’immobile di cui non sia stato preteso il ripristino (Cass. 1286/10; Cass. 26055/14); ma un tale indirizzo non è univoco.
Nelle due situazioni finora delineate il giudice, nel caso di evidente pregiudizio all’aspetto paesaggistico o al decoro architettonico, non si limiterà semplicemente a disporre la semplice eliminazione della parabola (e con essa del diritto all’informazione), ma adotterà una soluzione che consente la salvaguardia di entrambi i valori in gioco. Se non è possibile una diversa collocazione delle parabole non rimane che la formazione di gruppi di utenze ovvero, in ultima analisi, il collegamento con un impianto centralizzato (sempre che esista per quel tipo di servizio, cosa da escludere in genere per la ricezione satellitare, a maggior ragione se a pagamento). Abbiamo visto che quest’ultima via è stata seguita dalla giurisprudenza in un altro caso di diritti configgenti, quando si trattava di invadere la proprietà altrui.
Rimangono salve, in ogni caso, eventuali clausole “contrattuali” del regolamento condominiale, che possono condurre anche al sacrificio di un diritto individuale; mentre le altre, di natura regolamentare, possono intervenire solo sulle modalità di installazione.


Antenna condominiale
Si deve intendere per impianto centralizzato quello idoneo a servire potenzialmente la generalità dei condomini ed installato sia per volontà del costruttore fin dall’origine, sia successivamente per effetto di delibera condominiale. L’orientamento del legislatore è di favorire la realizzazione di queste strutture, con particolare riguardo agli impianti satellitari. La norma già citata della l. 249/1997 (dove l’espressione “antenne collettive” va intesa come “antenne condominiali”) ne stabilisce l’obbligatorietà per tutti gli immobili di nuova costruzione o sottoposti a ristrutturazione generale; e la l. 66/2001 qualifica le opere di installazione di nuovi impianti satellitari come “innovazioni necessarie”. Il D.M. per lo sviluppo economico 22/1/2013, sulle regole tecniche per gli impianti (terrestri e satellitari) centralizzati d’antenna, indica come scopo la “riduzione ed eliminazione della molteplicità di antenne individuali, per motivi sia estetici sia funzionali”, ma fa salvo il già richiamato disposto del 209 D.Lgs. 259/2003 che garantisce il diritto all’antenna singola (ora, come s’è detto, ribadito e meglio disciplinato dal nuovo 1122-bis c.c.).
Posto, dunque, che la convivenza fra parabole individuali ed impianti centralizzati è perfettamente legittima, sia pure nel rispetto delle condizioni in precedenza indicate, il discorso si sposta sulla categoria di soggetti che devono sostenere l’onere dell’opera condominiale.
Nel caso di impianto (terrestre o satellitare) sorto insieme con l’edificio siamo in presenza di una “parte comune” (prevista ora dalla riforma al n. 3 del 1117) che obbliga tutti i condomini alle spese di gestione e conservazione (da ripartire in egual misura e non in base ai millesimi, perché l’uso della tv prescinde dalle dimensioni dell’appartamento: Cass. 2916/69). È difficile, in questa situazione, che possano sorgere antenne singole, attesa la mancanza di un interesse dell’utente che gode già dello stesso servizio offerto dal condominio e posto anche a suo carico; a meno che non si tratti di servizi aggiuntivi, satellitari (Tv-Sat, pay-tv) o terrestri.
Differente si profila la situazione quando l’impianto centralizzato viene successivamente deciso dall’assemblea condominiale con le maggioranze del 1120 c.c. La l. 66/2001 stabilisce che “le opere di installazione di nuovi impianti sono innovazioni necessarie” (art. 2-bis). Per alcuni autori non è dato sapere cosa in realtà il legislatore abbia voluto intendere con tale espressione. Si potrebbe pensare che lo scopo era quello di sottolineare (in modo poco felice) l’importanza dell’evoluzione tecnologica ed una preferenza verso questi nuovi strumenti per le maggiori opportunità che possono offrire in collegamento con il “mondo”; o più probabilmente che la suddetta qualifica serviva a giustificare l’originario ridotto quorum di un terzo dei condomini e delle quote millesimali (portato ora dalla riforma a 500 millesimi con la maggioranza degli intervenuti) che consentiva una più facile realizzazione. Altri, invece, ritengono che il carattere di “innovazione necessaria”, escludendo per definizione la natura voluttuaria dell’opera, negherebbe ai condomini dissenzienti la possibilità di invocare la norma (1121) sulle innovazioni “voluttuarie” per essere esonerati dal contributo.
La tesi non sembra convincente. Intanto la citata legge si riferisce solo agli impianti satellitari, per cui resterebbero incomprensibilmente esclusi dal carattere di “necessarietà” gli impianti tradizionali, che pure assolverebbero al compito di ridurre la selva delle antenne singole. In secondo luogo, il 1121 prevede anche l’esonero per l’innovazione “gravosa” e tale potrebbe risultare il nuovo impianto per chi ha già una sua fonte del servizio. Ma altri argomenti si possono aggiungere, ben più sostanziali.
In realtà, il problema va considerato sotto una diversa angolatura alla luce di talune indicazioni che provengono dal sistema: divisibilità del servizio (utilizzazione separata: 1121), possibilità di uso diverso del medesimo (1123), necessarietà di alcune parti comuni per l’esistenza dell’edificio (1117). Il servizio non si annovera tecnicamente tra i beni (cose ed impianti) e può formare oggetto solo di godimento in comune (Cass. 9096/2000). Ma anche per i servizi bisogna distinguere fra quelli necessari per la vita della comunità o destinati in permanenza per il titolo all’uso e godimento collettivo (ad es. servizi idrici, fognari, di illuminazione, fornitura del gas, portierato) e tutti gli altri. La Suprema Corte aveva ritenuto ammissibile la rinuncia agli impianti superflui o illegali, con il conseguente esonero della spesa per la loro conservazione (Cass. 4652/91). Nel caso in esame, più che di rinuncia, si tratterebbe di non partecipare all’uso di un servizio perché dello stesso già si gode in base ad un proprio impianto individuale che si ha diritto di mantenere; e la “misura diversa” (prevista dal 1123) in cui un condomino può servirsi del bene comprende anche il “livello zero”.
Non può l’assemblea violare la libertà della persona ed imporre un onere economico (contributo per l’impianto ed acquisto del decoder) giustificandolo con l’offerta di programmi diversi ed ulteriori, per il quali il condomino non ha interesse. A maggior ragione, poi, la decisione condominiale non è vincolante in quei casi (in verità piuttosto rari) di soggetti che non sono interessati alla tv e dovrebbero acquistare l’apparecchio, l’eventuale decoder e provvedere al pagamento del canone Rai. La legge parla di “servizi nell’interesse comune” (1123, 1130 n. 2) e non è tale il servizio televisivo centralizzato quando non risponde ai bisogni di alcuni condomini. Si aggiunga, infine, che esistono poi i programmi della tv a pagamento, per i quali un impianto condominiale vincolante richiederebbe l’unanimità di tutti i condomini. Si può, allora, concludere che l’antenna centralizzata obbliga alla spesa solo coloro che l’hanno accettata; e dunque la coesistenza di impianti singoli (quasi sempre parabole) e condominiali è, purtroppo, destinata a rimanere, con i limiti per l’antenna individuale (comunque non indifferenti) che sono stati descritti in precedenza.
L’opera in esame fa parte delle innovazioni “sociali o agevolate” di cui al secondo comma del 1120 c.c. e va approvata con i 500 millesimi, ma senza spiegare effetti obbligatori, come s’è appena detto, verso i condomini che godono già del servizio ed hanno diritto di mantenere la loro antenna. A questo punto, non si vede come possa attribuirsi alla norma una portata generale, poiché non siamo in presenza di una “innovazione” in senso tecnico se in sostanza si ricade nella installazione di un’antenna “collettiva” appartenente ad un gruppo di condomini (come spiegato nel paragrafo che segue) che non richiede alcuna maggioranza, tanto meno qualificata, ma solo il consenso degli aderenti. L’efficacia della disposizione si riduce all’ipotesi di un coinvolgimento di tutti i condomini od anche a quella di un bene “potenzialmente condominiale” che, pur rimanendo in uso ed a carico dei soli consenzienti, è predisposto tecnicamente per la possibile utilizzazione successiva degli altri condomini (si faccia l’ipotesi di obbligatorio smantellamento, iussu iudicis, di alcune parabole) secondo la logica dell’ultimo comma del 1121. Ma pure questa ridotta eventualità di configurare una “innovazione” con il suo quorum maggiorato viene a cadere quando l’opera non altera la destinazione del bene comune né limita il diritto d’uso degli altri condomini. Almeno questo è il senso da attribuire allo strano inciso introdotto nel 1120 (al n. 3 del secondo comma) “ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto”: la mancanza delle indicate modifiche elimina la qualifica di “innovazione” e ripristina la maggioranza ordinaria (di 1° o di 2° convocazione).
Nel caso di rinnovo dell’impianto per intervenuta obsolescenza, l’opera costituisce una miglioria, non un’innovazione; comunque delibera vincola sempre i soli condomini interessati.
Superfluo aggiungere che una chiarificazione legislativa sarebbe quanto mai necessaria su questi come su altri punti della riforma.
Antenna collettiva
Più condomini possono consociarsi per installare una parabola multiuso, per godere di servizi aggiuntivi (Tv-Sat, “pay-tv”) rispetto a quelli del digitale terrestre di cui è dotato il condominio oppure per supplire (specie nelle zone montane) all’insufficiente ricezione del digitale stesso, od infine (come sarebbe auspicabile) per disboscare la massa di antenne singole a tutto vantaggio dell’estetica dell’edificio. Un tale l’impianto può chiamarsi “collettivo”, per distinguerlo da quello condominiale che ha la sua fonte in una delibera assembleare rivolta ad una generalità di condomini. Richiamando quanto detto nel primo paragrafo, i regolamenti comunali potrebbero imporre l’accorpamento delle parabole in una o più (ma sempre limitate) antenne “collettive” per salvaguardare il decoro dell’edificio. Se, ad es., in un edificio vi sono più scale, è ragionevole che si installi una parabola per ogni scala a beneficio dei condomini che diano la loro disponibilità. Insomma, se non è possibile che le antenne siano un bene comune di tutti i condomini bisogna che siano almeno beni in comune di gruppi di condomini. In questi casi gli interessati provvedono a proprie spese all’impianto collettivo secondo la medesima procedura (1122-bis) illustrata per l’antenna individuale. Ne consegue la formazione, in tale limitato ambito, del c.d. “condominio parziale”, ai sensi del 1123 che richiama anche”opere od impianti”. Poiché va comunque informato l’amministratore, di norma gli si dà il mandato di organizzare il necessario lavoro e di scegliere l’impresa esecutrice di comune accordo con i soli condomini richiedenti; mentre l’assemblea verrà coinvolta solo se si rendano necessarie modifiche delle parti comuni.

Rumori in condominio: definizioni e un esempio

La legge 447/95 introduce per la prima volta il concetto di inquinamento acustico, ma bisognerà attendere i DPCM del 14/11/97  per aver fissati i limiti assoluti e di attenzione, a seconda della zonizzazione del territorio (protetto, residenziale, misto, industriale, etc.) e differenziali, ovvero quanto può un rumore per essere considerato tale, superare il “fondo”. Inoltre con il DPCM del 5/12/97 si definiscono i requisiti acustici passivi in edilizia e i requisiti delle sorgenti, ovvero l’isolamento acustico minimo delle strutture, quali muri, divisori e aperture e i livelli di emissione delle sorgenti (il valore in dB che troviamo ad esempio, sull’etichetta della lavatrice o della lavastoviglie in negozio).
Detto questo per rumore si intende un emissione sonora che provoca fastidio, disagio e/o disturbo al riposo e l’esposizione prolungata ad emissioni rumorose può indurre un vero e proprio danno all’organismo (passeggero o cronico).
Anche se il “danno biologico” va rigorosamente dimostrato (Cassazione civile n. 661/2017), il risarcimento del danno non patrimoniale scatta anche senza prova dell’effettiva esistenza dei danni stessi: in questi termini si è espressa la Cassazione con la sentenza 1606/2017.

I casi più comuni in condominio sono il disturbo dovuto ad impianti sonori (TV o HiFi) in casa oppure elettrodomestici, impianti condominiali (pompe o scarichi) oppure all’uso di calzature a suola rigida (rumore da calpestio).

Vediamo ora un esempio reale:

Teatro della contesa, un cortile trevigiano: un fratello vi esercita attività di lavorazione del ferro; l’altro vi abita e ne subisce le immissioni, fin tanto che decide di rivolgersi al Tribunale, che gli dà ragione. Le immissioni superano di 3 dB il rumore di fondo, anche se solo in alcuni giorni ed orari: il Tribunale ordina la cessazione delle immissioni, l’inibizione all’uso di determinati macchinari e il risarcimento dei danni.
La Corte d’Appello di Venezia conferma la condanna. E si configura il reato di cui all’articolo 659 del Codice penale (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) e scatta quindi l’obbligo di risarcire il danno non patrimoniale, a norma dell’articolo 2059 del Codice civile.
La Corte di Cassazione, con sentenza 1606/2017, conferma i due precedenti gradi e fa chiarezza nella materia:
a) in tema di immissioni, i rapporti tra privati proprietari di fondi vicini vanno risolti sulla base dell’articolo 844 del Codice civile, anche se vi siano norme più permissive che disciplinino i rapporti con la pubblica amministrazione;
b) il limite di tollerabilità è relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo e non può prescindere dalla rumorosità di fondo;
c) solo un esperto, scelto dal giudice, è in grado di accertare strumentalmente l’intensità dei suoni o delle emissioni di vapori o gas, nonché il loro grado di sopportabilità per le persone, mentre i testimoni tendono ad esprimere giudizi valutativi di tipo soggettivo;

d) il danno non patrimoniale da immissioni illecite è risarcibile anche in assenza di un danno biologico documentato, «quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e del diritto alla piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti».

Condominio blocca l’installazione di cabina elettrica nelle parti comuni

Un condominio ha presentato ricorso contro i provvedimenti amministrativi con i quali una Provincia aveva autorizzato una società di fornitura di energia a procedere alla ristrutturazione per aumento di potenza di una cabina elettrica posta all’interno del giardino, con contestuale dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dei lavori.

A seguito, infatti, di un cedimento del sedime stradale, si era verificato il cedimento del locale che ospitava la cabina che non poteva più essere mantenuta in tale loco.

Pertanto la società al fine di garantire la continuità del servizio elettrico, aveva provveduto nel frattempo ad installare una cabina provvisoria all’interno di un box prefabbricato, ubicandola sulla via pubblica, su un’area antistante il giardino di proprietà del Condominio.

Di fronte al successivo diniego opposto dal Condominio di concedere nuovamente in locazione il locale dove era precedentemente ubicata la cabina, chiedeva l’esproprio dello stesso alla Provincia che emetteva i provvedimenti necessari a tal fine.

Il Condominio, quindi, ha impugnato tali atti ritenendoli illegittimi in quanto, per quanto qui interessa, l’Amministrazione non aveva valutato le conseguenze potenzialmente negative per i condomini, derivanti dalla propagazione delle onde elettromagnetiche sviluppate dalla cabina elettrica.

Principio di precauzione. Nel nostro ordinamento ha trovato ingesso il c.d. principio di precauzione, “in forza del quale per ogni attività che comporti pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione” (Cons. Stato , sez.

V, sentenza 27 dicembre 2013, n. 6250) Pertanto, è necessario intervenire in presenza di indizi specifici i quali, senza escludere l’incertezza scientifica, permettano ragionevolmente di concludere, sulla base dei dati disponibili che risultano maggiormente affidabili e dei risultati più recenti della ricerca internazionale, che l’attuazione di tali misure è necessaria al fine di evitare pregiudizi all’ambiente o alla salute; si rifiuta un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente.

La situazione di pericolo, quindi, deve essere potenziale o latente, ma non meramente ipotizzata e deve incidere significativamente sull’ambiente e la salute dell’uomo.

Infatti, “il diritto alla salute, posto a base della domanda, è infatti un diritto fondamentale dell’individuo, che l’articolo 32 Costituzione protegge direttamente (Corte costituzionale 26 luglio 1979 n. 88; 14 luglio 1986 n. 184; 18 dicembre 1987 n. 559; 27 ottobre 1988 n. 992; 22 giugno 1990 n. 307; 18 aprile 1996 n. 118).Questo equivale a dire che il diritto alla salute deve prima essere esposto a compromissione e poi può trovare tutela, ma solo in forma repressiva, mediante condanna al risarcimento del danno, anche in forma specifica. Si è visto invece che la tutela può essere preventiva e sostanziarsi in una inibitoria.

Perciò, il giudice di merito non avrebbe potuto rifiutarsi di accertare se il diritto alla salute di quanti si fossero trovati ad abitare sul fondo dell’attore sarebbe risultato esposto al pericolo di rimanere compromesso dall’esposizione ai campi elettromagnetici generati dall’elettrodotto, una volta che fosse entrato in funzione e per come ne era preventivato l’esercizio” (Cass. civ.., sez. III , sent. 27 luglio 2000, n. 9893)

Giurisprudenza in tema di elettromagnetismo. La sentenza in esame richiama varie pronunce a sostegno della propria decisione.

In particolare osserva come “in applicazione dell’art. 121, terzo comma, del TU 11 dicembre 1933 n. 1775″, per il quale ” l’impianto di condutture elettriche deve essere eseguito in modo da riuscire il meno pregiudizievole possibile al fondo servente, l’attraversamento di fondi privati di un elettrodotto esige, da parte della pubblica Amministrazione un’adeguata comparazione con la possibilità di tracciato diverso in relazione allo stato dei terreni vicini; pertanto è illegittimo il provvedimento di approvazione di un nuovo tracciato che non sia stato preceduto da tale doverosa attività comparativa” (Cons. Stato, sez, IV, sent. 28 febbraio 1986, n. 126).

E più di recente che “il TAR Liguria, (sentenza 7.6.01 n. 665), ha affermato: ” è illegittimo il provvedimento di concessione edilizia per l’installazione di una cabina elettrica di media trasformazione, a servizio di appartamenti, negozi ed uffici già realizzati di un piano particolareggiato, in un’area destinata a verde pubblico, ove il provvedimento che ha accertato la conformità dell’opera, non abbia dato conto delle ragioni della diversa ubicazione della cabina dalla sede originariamente indicata, nonché della scelta di ubicare un manufatto potenzialmente pericoloso sotto il profilo elettromagnetico in un giardino pubblico“.

La violazione dell’art. 121 del RD n. 1775/1933. Nel caso in esame il T.A.R. adito ha ritenuto che vi fosse stata violazione dell’art. 121 del RD n. 1775/1933 che così dispone: “la servitù di elettrodotto conferisce all’utente la facoltà di: a) collocare ed usare condutture sotterranee od appoggi per conduttori aerei e far passare conduttori elettrici su terreni privati e su vie e piazze pubbliche, ed impiantare ivi le cabine di trasformazione o di manovra necessarie all’esercizio delle conduttore; b) infiggere supporti o ancoraggi per conduttori aerei all’esterno dei muri o facciate delle case rivolte verso le vie e piazze pubbliche, a condizione che vi si acceda dall’esterno e che i lavori siano eseguiti con tutte le precauzioni necessarie sia per garantire la sicurezza e l’incolumità, sia per arrecare il minimo disturbo agli abitanti.

Da tale servitù sono esenti le case, salvo le facciate verso le vie e piazze pubbliche, i cortili, i giardini, i frutteti e le aie delle case attinenti;? “.

La norma citata esclude la possibilità di installazione coattiva di cabine elettriche nelle case, cortili, giardini e, pertanto, non era consentito imporre la servitù coattiva di elettrodotto nel giardino di pertinenza del Condominio ricorrente.

Inoltre, il comma 3 dello stesso art. 121 del R.D. sopra menzionato prevede che “l’impianto e l’esercizio di condutture elettriche debbono essere eseguiti in modo da rispettare le esigenze e l’estetica delle vie e piazze pubbliche e da riuscire il meno pregiudizievole possibile al fondo servente, avuto anche riguardo all’esistenza di altri utenti di analoga servitù sul medesimo fondo, nonché alle condizioni dei fondi vicini e all’importanza dell’impianto stesso“.

La violazione del principio di precauzione. Il T.A.R., inoltre, ha ritenuto che Inoltre, i provvedimenti impugnati erano viziati anche per violazione del DPCM 18/7/03 e del principio di precauzione.

Infatti, dalla lettura degli atti del procedimento emerge che le Amministrazioni deputate all’approvazione del progetto non hanno adeguatamente valutato le conseguenze potenzialmente negative per i condomini, derivanti dalla propagazione delle onde elettromagnetiche sviluppate dalla cabina elettrica. Infatti, tale valutazione doveva essere effettuata ex ante e non ex post“.

La pericolosità del sito. L’espropriazione finalizzata alla collocazione della cabina “illegittima per illogicità e irragionevolezza sotto un ulteriore profilo visto che, dalla documentazione acquisita agli atti del procedimento, risulta che l’area ove è stato autorizzato il posizionamento della cabina elettrica presenta dissesti riconducibili a cedimenti degli strati superficiali del terreno”.

Circostanze note alla società di energia elettrica che “per tali ragioni, ha dovuto spostare la cabina elettrica inizialmente ubicata all’interno dello stabile condominiale perché si era notevolmente abbassata per il cedimento del terreno sottostante”; società che si era limitata “a replicare alle “osservazioni” presentate dal Condominio affermando che “per quanto riguarda la staticità del luogo individuato verranno adottate le medesime fondazioni utilizzate per la realizzazione dell’immobile di proprietà del condominio e, comunque, tutte quelle necessarie a garantire la staticità della cabina”, senza, peraltro, presentare un progetto specifico sul punto”.

Conclusioni. Alla luce di quanto precede, il T.A.R. ha dichiarato illegittimità degli atti dell’Amministrazione. Tale pronuncia ha, quindi, ritenuto che il valore primario da valutare è il diritto alla salute delle persone, al di là di ogni altro interesse.

Fonte http://www.condominioweb.com/no-alla-cabina-elettrica-in-condominio-se-non-si-sono-verificate-le-radiazioni.2111#ixzz4MHu7lhip

In mancanza di accordo il posto auto nel cortile condominiale lo assegna il giudice

Sovente accade che tra i condòmini non vi sia accordo in merito all’uso della cosa comune e che, pertanto, l’assemblea non riesca a deliberare in merito.

Ciò accade in particolar modo quando si tratta di assegnare, ai singoli condòmini, i rispettivi posti auto nel cortile comune.

In questi casi ben può farsi ricorso all’autorità giudiziaria, affinché la stessa provveda d’ufficio all’assegnazione del posto auto di pertinenza dei singoli condòmini.

Innanzitutto, per quanto riguarda la competenza per tale genere di giudizi, è doveroso premettere come: “Le cause relative alla misura ed alle modalità d’uso dei servizi del condominio, di competenza del giudice di pace, sono sia quelle che riguardano le riduzioni o limitazioni quantitative del diritto di godimento dei singoli condomini sulle cose comuni sia quelle che concernono i limiti qualitativi di esercizio delle facoltà comprese nel diritto di comunione, in proporzione delle rispettive quote, mentre sono assoggettate alle ordinarie regole della competenza per valore quelle aventi ad oggetto la contestazione della titolarità del diritto di comproprietà sulle cose comuni” (Cass. civ. Sez. II Ord., 18/02/2008, n. 3937).

Con l’ulteriore specificazione che: “In tema di condominio, qualora venga impugnata una delibera assembleare, il riparto di competenza deve avvenire in base al principio contenutistico, ossia con riguardo al tema specifico del deliberato assembleare di cui l’attore si duole; ne consegue che è devoluta alla competenza per materia del giudice di pace – in quanto attinente alle modalità di uso dei servizi condominiali, ai sensi dell’art. 7, quarto comma, n. 2), cod. proc. civ. – la controversia relativa alle modalità di custodia della chiave di accesso al lastrico solare, a nulla rilevando che l’attore abbia dedotto come fondamentale motivo di censura la mancata inclusione di tale oggetto nell’ordine del giorno dell’assemblea condominiale” (Cass. civ. Sez. VI Ordinanza, 28/03/2011, n. 7074).

Viceversa, quando la limitazione dell’esercizio del diritto del condomino non riguarda le parti comuni bensì la sua proprietà esclusiva, è il caso in cui una clausola del regolamento condominiale ne limita appunto l’utilizzo da parte del condomino/proprietario, non si può ritenere che tale giudizio rientra tra le cause relative alla misura ed alle modalità d’uso dei servizi di condominio, di competenza del giudice di pace, proprio perché la controversia non attiene più alle parti comuni, di talché competente per materia sarà il Tribunale (Cfr.: Cass. civ. Sez. II, 31/10/2014, n. 23297).

Fatta questa doverosa premessa, passiamo all’esame della recente sentenza della Suprema Corte, n. 23118, emessa in data 12/11/2015.

Posta la presenza di un cortile comune adiacente il fabbricato di proprietà, uno dei comunisti evocava in giudizio l’altro, al fine di sentenziare lo scioglimento della predetta comunione ovvero, nel caso di impossibilità, l’individuazione e l’assegnazione all’interno dell’area comune di un posto-auto per ciascuna parte.

Sulla scorta della dedotta indivisibilità del bene il Tribunale, a seguito di Consulenza Tecnica d’Ufficio, provvedeva all’assegnazione dei posti-auto ad ognuno dei comunisti. Sentenza poi confermata dalla Corte d’Appello di Genova.

Proponeva ricorso per cassazione il comunista convenuto in primo grado eccependo, tra l’altro, la circostanza per la quale, con l’assegnazione giudiziale del posto-auto nel cortile condominiale avrebbe costituito un “nuovo diritto reale”, al di fuori di quelli tipici riconosciuti dal nostro ordinamento civilistico, oltre a pregiudicare l’utilizzo della cosa comune in tutta la sua estensione, in danno dei singoli condòmini, con violazione dell’art. 1102 c.c.

La Corte di Cassazione, con la predetta sentenza, ribadisce il proprio orientamento per il quale: “l’assegnazione dei posti-auto nel cortile comune costituisce manifestazione del potere di regolamentazione dell’uso della cosa comune, consentito all’assemblea del condominio” (Sez. 2, Sentenza n. 12485 del 19/07/2012).

Né può ritenersi effettivamente sussistente la creazione di una nuova fattispecie di diritto reale, considerato che: “né tale regolamentazione con relativa assegnazione di singoli posti-auto ai vari condomini determina la divisione del bene comune o la nascita di una nuova figura di diritto reale, limitandosi solo a renderne più ordinato e razionale l’uso paritario della cosa comune” (Sez. 2, Sentenza n. 6573 del 31/03/2015).

Ciò posto, l’assegnazione del posto-auto insistente nel cortile condominiale, attiene esclusivamente all’utilizzo dello stesso, disciplinandone l’uso, senza che possano emergere nuovi modi di acquisto della proprietà ovvero di altri diritti reali (enfiteusi, diritto di superficie, usufrutto, uso o di abitazione e servitù).

Di talché, deve valere il principio per cui, in mancanza di accordo tra condòmini ovvero nell’impossibilità di decidere nel merito oppure quando l’assemblea non sia stata neppure costituita, la regolamentazione dell’uso della cosa comune e, in particolare, l’assegnazione dei posti-auto sul bene comune, può essere richiesta e dichiarata dall’autorità giudiziaria (Cfr.: Cass. civ., Sez. II, 12/11/2015, n. 23118. Nello stesso senso in precedenza: Cass. civ. Sez. II Ord., 18/02/2008, n. 3937).

Fonte http://www.condominioweb.com/assegnazione-posto-auto-condominiale.12251#ixzz4KKgH56uF