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Le deleghe in assemblea

Capita sovente di non poter garantire la propria presenza all’assemblea di condominio e la possibilità di affidare a qualcuno il proprio volere decisionale è sicuramente un’opportunità per dare continuità al nostro interesse nel condominio e in come avviene la sua gestione.

Per semplicità abbiamo organizzato in un quadro riassuntivo gli aspetti fondamentali della delega.

  • la delega può essere affidata a qualunque soggetto di maggiore età che non sia dichiarato incapace;
  • la delega deve essere in forma scritta;
  • la delega può contenere sia la data nella quale essa risulta valida (in caso contrario potrebbe avere valore temporalmente indefinito), sia le volontà di voto, che risultano però di fatto non vincolanti: il delegato può in quanto tale esprimere preferenze personali;
  • la delega non può essere data all’amministratore del condominio;
  • il delegato non può rappresentare un valore complessivo superiore ad un quinto di quello totale e un numero di teste superiore ad un quinto del numero totale di condomini se quest’ultimo è superiore a 20.

Riguardo questo ultimo punto, la giurisprudenza dà una lettura variegata e discordante, difatti alcune sentenze nel merito sono per il tetto del quinto nel computo delle sole parti deleganti, mantenendo sia la caratura millesimale del delegato che la sua “testa” indipendente rispetto a quella di quest’ultimi. Questa interpretazione potrebbe essere sicuramente discutibile ma la sua adozione, vista la letteratura giurisprudenziale , potrebbe essere la scelta più conservativa.

Importante ricordare che per l’assemblea, inerentemente ad ogni aspetto viziato della delega (o delle deleghe) si determini conseguentemente un vizio di annullabilità (non di nullità) per la stessa.

Assemblee al tempo del coronavirus: la nostra soluzione

Ad oggi il legislatore non si è espresso a riguardo, pur emanando provvedimenti in merito ai bonus per riqualificazione energetica e strutturale (sismabonus) e il tema delle assemblee condominiale rimane una zona grigia. Di fatto le assemblee, in quanto assembramenti, non sono possibili, ma la vita stessa del condominio dipende da esse. Gli stessi lavori incentivati da un lato, non possono essere finalizzati in quanto manca la possibilità formale di cristallizzare la volontà del condominio.

Ma dove il legislatore non è ancora intervenuto, deve esserci la possibilità per la piccola, ma pur sempre viva comunità condominiale di poter discutere e decidere riguardo tutti gli interventi assolutamente necessari, decisioni di fatto non procrastinabili in quanto comportanti una possibile diminuzione o interruzione di servizi essenziali.

Tale possibilità ci viene data dai mezzi informatici/telematici. Abbiamo pertanto deciso di effettuare le assemblee tramite la piattaforma gratuita Skype, che permette una conversazione contemporanea fino a 24 utenti (quindi sufficiente per la maggioranza delle assemblee) con la presenza in ufficio di un solo condomino, che verrà designato anticipatamente e che fungerà da presidente. E’ fondamentale però, perchè la cosa sia possibile legalmente, che all’interno del condominio tutti diano l’assenso a tale modalità di svolgimento e quindi, nel caso ci fossero limiti di qualsiasi natura che impedissero di utilizzare tale piattaforma anche per un solo condòmino, tale soluzione non è attuabile.

Qualche ora prima dell’assemblea, plausibilmente la mattina del giorno stesso, per le assemblee pomeridiane, si svolgerà una prova in modo che tutti possano verificare la qualità audio/video della conversazione e qualora emergessero problematiche tecniche si avrebbe in tal caso margine temporale per la loro risoluzione.

Vi prego quindi di scaricare l’applicazione disponibile per computer (Windows, MacOS, Linux) oppure dispositivo mobile (Android, iOS) che richiede un semplice account di posta elettronica attivo il quale può essere usato come nome utente. Quindi per poter presenziare virtualmente all’assemblea è sufficiente un semplice smartphone e una connessione internet, vuol dire in sostanza che l’unica cosa che serve è la volontà.

Questo è il link dove troverete l’applicazione https://www.skype.com/it/, mentre per i dispositivi mobili dovrete installarla dal gestore pacchetti del sistema operativo mobile (GooglePlay per Android e AppStore per iOS).

Tassa affitti brevi: al via dal 17 luglio

Lunedì 17 luglio scatta il primo appuntamento tra il fisco e i altri portali che si occupano di affitti a breve termine (AirBnB et al.). La manovra correttiva ha introdotto difatti, l’obbligo per i soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, di comunicare al fisco i dati sui contratti e trattenere una somma pari al 21% se intervengono nel pagamento o incassano i corrispettivi.

Entro il 17 luglio andranno quindi versate le imposte relative agli affitti a partire dal 1° giugno: si tratta di una tassazione “secca” del 21% che viene trattenuta direttamente dagli intermediari, i quali a loro volta devono “girare” gli importi alle Entrate.

Airbnb e le altre società che offrono il servizio di intermediazione immobiliare per le locazioni non superiori a 30 giorni devono, da questo mese, farsi carico di trasmettere al fisco i dati relativi ai contratti conclusi. In particolare, devono comunicare il nome, cognome e codice fiscale del locatore, la durata del contratto, l’importo del corrispettivo lordo e l’indirizzo dell’immobile. La predisposizione e la trasmissione dei dati deve avvenire attraverso i canali telematici dell’Agenzia.

Secondo quanto previsto dalla manovra correttiva 2017, ai redditi che derivano da questi contratti, stipulati dal 1° giugno 2017, si applicano in via opzionale le disposizioni relative al regime della cedolare secca con l’aliquota del 21% sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali sui redditi derivanti dalla locazione. La ritenuta va versata entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è effettuata. Per il versamento va utilizzato il codice tributo “1919” denominato “Ritenuta operata all’atto del pagamento al beneficiario di canoni o corrispettivi, relativi ai contratti di locazione breve – articolo 4, comma 5, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50”.

Antenne televisive in condominio: considerazioni post-riforma

Per poter usufruire dei programmi tv a pagamento, o per potesrsi collegare al satellite (Tv-Sat) data l’insufficienza del digitale terrestre, è necessaria l’installazione di una parabola.

In condominio i risvolti, come noto, possono essere molteplici: salvaguardia del decoro architettonico dell’edificio e dell’aspetto paesaggistico, compatibilità con i regolamenti comunali, decisioni delle assemblee sugli assetti condominiali.

Vediamo innanzitutto le diverse casistiche.
Antenna singola
Il diritto all’installazione di impianti radiotelevisivi è ora per la prima volta esplicitamente regolato, nella normativa condominiale, dal 1122-bis c.c. introdotto dalla riforma del 2012. In passato, si erano avute a varie riprese (dalla legge n. 554/1940 a tutti i provvedimenti successivi, poi assorbiti nel D.Lgs. 259/2003) disposizioni di carattere generale che confermavano questa facoltà riconosciuta dalla giurisprudenza come diritto soggettivo perfetto di natura personale (Cass. 12295/03, ma già Cass. S.U. 3728/76) al quale vien data la base costituzionale (art. 21) del diritto all’informazione (Cass. 7418/83). Il termine “radiodiffusione”, usato dalle precedenti leggi, si riteneva comprensivo anche della diffusione televisiva (v. già Cass. 2862 /94 e poi D.M. delle comunicazioni 11/11/05). Tale diritto compete, oltre che al condomino, anche al conduttore (Cass. 1176/86 e D.Lgs. 259/03 che parla all’art. 91 di “richieste di utenza degli inquilini o dei condomini”).
Le antenne si possono collocare su qualsiasi parte dell’immobile, anche altrui, purchè rispettino le seguenti condizioni poste dal complesso delle varie norme interessate:

a) recare il minor pregiudizio alle parti comuni ed alle proprietà private;

b) preservare in ogni caso il decoro architettonico, la stabilità e sicurezza dell’edificio;

c) non pregiudicare il libero uso della proprietà altrui secondo la sua destinazione;

d) non impedire agli altri condomini di fare parimenti uso del bene comune secondo il loro diritto;

e) non alterare la destinazione di tale bene. La possibilità di un “minimo pregiudizio” costituisce una deroga al principio generale di evitare ogni danno alle parti comuni (v. ad es. 1122) ed ai beni privati (209 D.Lgs. 259/03).

L’installazione non richiede alcuna autorizzazione e può avvenire sulle parti private altrui solo nell’impossibilità di utilizzare spazi propri o di avvalersi di un’antenna comune (Cass. 9427/09 e Cass. 9393/05). I proprietari delle varie unità immobiliari devono consentire l’accesso per la progettazione e l’esecuzione delle opere; gli stessi ed il condominio non possono opporsi nemmeno al passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto (con i limiti di salvaguardia sopra indicati).
Il criterio generale di preventiva informazione dell’amministratore per ogni opera da eseguire nell’edificio (su beni propri o condominiali) si applica, per l’antenna, solo se occorre procedere a modifiche delle parti comuni. In tal caso scatta una particolare procedura che vede l’assemblea legittimata (con la maggioranza di 2/3 del valore edificio) ad imporre modalità “alternative” di esecuzione, cautele a salvaguardia della stabilità, sicurezza o decoro del fabbricato, nonché garanzie per eventuali danni. Naturalmente, in caso di disaccordo si arriverà all’intervento del giudice e dei periti. Si può, comunque, ritenere che l’amministratore debba procedere alla convocazione dell’assemblea straordinaria (e senza indugio) solo quando ciò si dimostri necessario od anche solo opportuno, secondo la comune esperienza, per il tipo e l’entità delle modifiche evidenziate dal contenuto specifico e dalle modalità di esecuzione che l’utente è obbligato ad indicare. L’amministratore può avvalersi del parere del consiglio di condominio, ma in definitiva la responsabilità per ogni valutazione rimane a suo carico.
L’antenna individuale, in quanto diritto autonomo ed insopprimibile, è indipendente dall’esistenza originaria o sopravvenuta della centrale condominiale, che viene prevista da altra norma (1120 c.c.) senza che fra le due situazioni esista gerarchia di sorta; ed ancor prima degli accennati sviluppi legislativi i giudici avevano sempre riconosciuto l’autonomia del diritto del singolo, dichiarando nulla la delibera che vieta l’antenna per il solo fatto dell’esistenza di un impianto centrale (Cass. 7825/90; Cass. 5399/85). Di conseguenza l’assemblea non può impedire l’installazione, né imporre la rimozione dell’antenna; ed a sua volta l’amministratore non potrebbe eseguire una delibera palesemente nulla (a pena anche di eventuali reati, come ad es. danneggiamento).
Le stesse caratteristiche del diritto, che ne escludono la natura “affievolita” (cioè di interesse legittimo), impediscono che le normative dei Comuni possano pregiudicarlo. In linea di massima gli enti territoriali possono incidere su luogo e modalità di posizionamento (ubi e quomodo) ma non sull’an (installazione), poiché il diritto è garantito da leggi dello Stato; mentre invece possono pretendere che le parabole siano accorpate. Gli aspetti che vedono il loro intervento sono essenzialmente due. Il primo riguarda la tutela del paesaggio, che ha un fondamento costituzionale nell’art. 9 Cost. La l. 249/1997 (c.d.”legge Maccanico”) aveva imposto ai Comuni di emanare un regolamento sull’installazione degli apparati di ricezione delle trasmissioni radiotelevisive satellitari nei centri storici al fine di garantire la salvaguardia degli aspetti paesaggistici. Il perseguimento di un tale interesse pubblico e l’ineludibile tutela di un diritto individuale comporta la necessità di un bilanciamento fra le due situazioni protette, che si richiamano a norme di rango primario.
L’altro campo di intervento è quello del decoro architettonico, che la nuova disciplina impone di “preservare in ogni caso” (1122-bis). La perentorietà della disposizione porta a ritenere che la linea di tolleranza finora tendenzialmente adottata deve subire un’inversione di rotta perchè, dopo la riforma, la tutela di questo bene viene a prevalere sul diritto all’antenna, trasformato in “anarchia” da un inarrestabile fenomeno di massa (relativo a parabole, climatizzatori, telefonia, ecc.) che ha modificato in qualche misura il comune senso dell’estetica e del decoro. In genere i regolamenti edilizi locali consentono solo antenne e parabole centralizzate sul tetto ovvero, in caso di impossibilità tecnica, antenne singole ridotte al minimo poste sempre sulla copertura e non sulla facciata.
Il problema è che non esiste una definizione legislativa del decoro architettonico e la sua valutazione deve essere perciò effettuata caso per caso, con un’indagine di fatto riservata al giudice di merito (già Cass. 428/84 e da ultimo Cass. 20985/14). Secondo gli indirizzi giurisprudenziali, è vietata quell’opera che alteri le linee architettoniche del fabbricato o che si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso. Bisogna aver riguardo sia all’intero edificio che a singole parti o elementi dello stesso dotati di sostanziale autonomia, ed alla consequenziale diminuzione del valore di ciascuna delle unità immobiliari che lo compongono (Cass. 53/14; Cass. 1286/10, ecc.). Per una parte della giurisprudenza è necessario tener conto dello stato dell’edificio al momento in cui l’innovazione viene posta in essere e dunque la lesività estetica non è rilevante se il decoro architettonico era già stato gravemente compromesso da altre precedenti opere sull’immobile di cui non sia stato preteso il ripristino (Cass. 1286/10; Cass. 26055/14); ma un tale indirizzo non è univoco.
Nelle due situazioni finora delineate il giudice, nel caso di evidente pregiudizio all’aspetto paesaggistico o al decoro architettonico, non si limiterà semplicemente a disporre la semplice eliminazione della parabola (e con essa del diritto all’informazione), ma adotterà una soluzione che consente la salvaguardia di entrambi i valori in gioco. Se non è possibile una diversa collocazione delle parabole non rimane che la formazione di gruppi di utenze ovvero, in ultima analisi, il collegamento con un impianto centralizzato (sempre che esista per quel tipo di servizio, cosa da escludere in genere per la ricezione satellitare, a maggior ragione se a pagamento). Abbiamo visto che quest’ultima via è stata seguita dalla giurisprudenza in un altro caso di diritti configgenti, quando si trattava di invadere la proprietà altrui.
Rimangono salve, in ogni caso, eventuali clausole “contrattuali” del regolamento condominiale, che possono condurre anche al sacrificio di un diritto individuale; mentre le altre, di natura regolamentare, possono intervenire solo sulle modalità di installazione.


Antenna condominiale
Si deve intendere per impianto centralizzato quello idoneo a servire potenzialmente la generalità dei condomini ed installato sia per volontà del costruttore fin dall’origine, sia successivamente per effetto di delibera condominiale. L’orientamento del legislatore è di favorire la realizzazione di queste strutture, con particolare riguardo agli impianti satellitari. La norma già citata della l. 249/1997 (dove l’espressione “antenne collettive” va intesa come “antenne condominiali”) ne stabilisce l’obbligatorietà per tutti gli immobili di nuova costruzione o sottoposti a ristrutturazione generale; e la l. 66/2001 qualifica le opere di installazione di nuovi impianti satellitari come “innovazioni necessarie”. Il D.M. per lo sviluppo economico 22/1/2013, sulle regole tecniche per gli impianti (terrestri e satellitari) centralizzati d’antenna, indica come scopo la “riduzione ed eliminazione della molteplicità di antenne individuali, per motivi sia estetici sia funzionali”, ma fa salvo il già richiamato disposto del 209 D.Lgs. 259/2003 che garantisce il diritto all’antenna singola (ora, come s’è detto, ribadito e meglio disciplinato dal nuovo 1122-bis c.c.).
Posto, dunque, che la convivenza fra parabole individuali ed impianti centralizzati è perfettamente legittima, sia pure nel rispetto delle condizioni in precedenza indicate, il discorso si sposta sulla categoria di soggetti che devono sostenere l’onere dell’opera condominiale.
Nel caso di impianto (terrestre o satellitare) sorto insieme con l’edificio siamo in presenza di una “parte comune” (prevista ora dalla riforma al n. 3 del 1117) che obbliga tutti i condomini alle spese di gestione e conservazione (da ripartire in egual misura e non in base ai millesimi, perché l’uso della tv prescinde dalle dimensioni dell’appartamento: Cass. 2916/69). È difficile, in questa situazione, che possano sorgere antenne singole, attesa la mancanza di un interesse dell’utente che gode già dello stesso servizio offerto dal condominio e posto anche a suo carico; a meno che non si tratti di servizi aggiuntivi, satellitari (Tv-Sat, pay-tv) o terrestri.
Differente si profila la situazione quando l’impianto centralizzato viene successivamente deciso dall’assemblea condominiale con le maggioranze del 1120 c.c. La l. 66/2001 stabilisce che “le opere di installazione di nuovi impianti sono innovazioni necessarie” (art. 2-bis). Per alcuni autori non è dato sapere cosa in realtà il legislatore abbia voluto intendere con tale espressione. Si potrebbe pensare che lo scopo era quello di sottolineare (in modo poco felice) l’importanza dell’evoluzione tecnologica ed una preferenza verso questi nuovi strumenti per le maggiori opportunità che possono offrire in collegamento con il “mondo”; o più probabilmente che la suddetta qualifica serviva a giustificare l’originario ridotto quorum di un terzo dei condomini e delle quote millesimali (portato ora dalla riforma a 500 millesimi con la maggioranza degli intervenuti) che consentiva una più facile realizzazione. Altri, invece, ritengono che il carattere di “innovazione necessaria”, escludendo per definizione la natura voluttuaria dell’opera, negherebbe ai condomini dissenzienti la possibilità di invocare la norma (1121) sulle innovazioni “voluttuarie” per essere esonerati dal contributo.
La tesi non sembra convincente. Intanto la citata legge si riferisce solo agli impianti satellitari, per cui resterebbero incomprensibilmente esclusi dal carattere di “necessarietà” gli impianti tradizionali, che pure assolverebbero al compito di ridurre la selva delle antenne singole. In secondo luogo, il 1121 prevede anche l’esonero per l’innovazione “gravosa” e tale potrebbe risultare il nuovo impianto per chi ha già una sua fonte del servizio. Ma altri argomenti si possono aggiungere, ben più sostanziali.
In realtà, il problema va considerato sotto una diversa angolatura alla luce di talune indicazioni che provengono dal sistema: divisibilità del servizio (utilizzazione separata: 1121), possibilità di uso diverso del medesimo (1123), necessarietà di alcune parti comuni per l’esistenza dell’edificio (1117). Il servizio non si annovera tecnicamente tra i beni (cose ed impianti) e può formare oggetto solo di godimento in comune (Cass. 9096/2000). Ma anche per i servizi bisogna distinguere fra quelli necessari per la vita della comunità o destinati in permanenza per il titolo all’uso e godimento collettivo (ad es. servizi idrici, fognari, di illuminazione, fornitura del gas, portierato) e tutti gli altri. La Suprema Corte aveva ritenuto ammissibile la rinuncia agli impianti superflui o illegali, con il conseguente esonero della spesa per la loro conservazione (Cass. 4652/91). Nel caso in esame, più che di rinuncia, si tratterebbe di non partecipare all’uso di un servizio perché dello stesso già si gode in base ad un proprio impianto individuale che si ha diritto di mantenere; e la “misura diversa” (prevista dal 1123) in cui un condomino può servirsi del bene comprende anche il “livello zero”.
Non può l’assemblea violare la libertà della persona ed imporre un onere economico (contributo per l’impianto ed acquisto del decoder) giustificandolo con l’offerta di programmi diversi ed ulteriori, per il quali il condomino non ha interesse. A maggior ragione, poi, la decisione condominiale non è vincolante in quei casi (in verità piuttosto rari) di soggetti che non sono interessati alla tv e dovrebbero acquistare l’apparecchio, l’eventuale decoder e provvedere al pagamento del canone Rai. La legge parla di “servizi nell’interesse comune” (1123, 1130 n. 2) e non è tale il servizio televisivo centralizzato quando non risponde ai bisogni di alcuni condomini. Si aggiunga, infine, che esistono poi i programmi della tv a pagamento, per i quali un impianto condominiale vincolante richiederebbe l’unanimità di tutti i condomini. Si può, allora, concludere che l’antenna centralizzata obbliga alla spesa solo coloro che l’hanno accettata; e dunque la coesistenza di impianti singoli (quasi sempre parabole) e condominiali è, purtroppo, destinata a rimanere, con i limiti per l’antenna individuale (comunque non indifferenti) che sono stati descritti in precedenza.
L’opera in esame fa parte delle innovazioni “sociali o agevolate” di cui al secondo comma del 1120 c.c. e va approvata con i 500 millesimi, ma senza spiegare effetti obbligatori, come s’è appena detto, verso i condomini che godono già del servizio ed hanno diritto di mantenere la loro antenna. A questo punto, non si vede come possa attribuirsi alla norma una portata generale, poiché non siamo in presenza di una “innovazione” in senso tecnico se in sostanza si ricade nella installazione di un’antenna “collettiva” appartenente ad un gruppo di condomini (come spiegato nel paragrafo che segue) che non richiede alcuna maggioranza, tanto meno qualificata, ma solo il consenso degli aderenti. L’efficacia della disposizione si riduce all’ipotesi di un coinvolgimento di tutti i condomini od anche a quella di un bene “potenzialmente condominiale” che, pur rimanendo in uso ed a carico dei soli consenzienti, è predisposto tecnicamente per la possibile utilizzazione successiva degli altri condomini (si faccia l’ipotesi di obbligatorio smantellamento, iussu iudicis, di alcune parabole) secondo la logica dell’ultimo comma del 1121. Ma pure questa ridotta eventualità di configurare una “innovazione” con il suo quorum maggiorato viene a cadere quando l’opera non altera la destinazione del bene comune né limita il diritto d’uso degli altri condomini. Almeno questo è il senso da attribuire allo strano inciso introdotto nel 1120 (al n. 3 del secondo comma) “ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto”: la mancanza delle indicate modifiche elimina la qualifica di “innovazione” e ripristina la maggioranza ordinaria (di 1° o di 2° convocazione).
Nel caso di rinnovo dell’impianto per intervenuta obsolescenza, l’opera costituisce una miglioria, non un’innovazione; comunque delibera vincola sempre i soli condomini interessati.
Superfluo aggiungere che una chiarificazione legislativa sarebbe quanto mai necessaria su questi come su altri punti della riforma.
Antenna collettiva
Più condomini possono consociarsi per installare una parabola multiuso, per godere di servizi aggiuntivi (Tv-Sat, “pay-tv”) rispetto a quelli del digitale terrestre di cui è dotato il condominio oppure per supplire (specie nelle zone montane) all’insufficiente ricezione del digitale stesso, od infine (come sarebbe auspicabile) per disboscare la massa di antenne singole a tutto vantaggio dell’estetica dell’edificio. Un tale l’impianto può chiamarsi “collettivo”, per distinguerlo da quello condominiale che ha la sua fonte in una delibera assembleare rivolta ad una generalità di condomini. Richiamando quanto detto nel primo paragrafo, i regolamenti comunali potrebbero imporre l’accorpamento delle parabole in una o più (ma sempre limitate) antenne “collettive” per salvaguardare il decoro dell’edificio. Se, ad es., in un edificio vi sono più scale, è ragionevole che si installi una parabola per ogni scala a beneficio dei condomini che diano la loro disponibilità. Insomma, se non è possibile che le antenne siano un bene comune di tutti i condomini bisogna che siano almeno beni in comune di gruppi di condomini. In questi casi gli interessati provvedono a proprie spese all’impianto collettivo secondo la medesima procedura (1122-bis) illustrata per l’antenna individuale. Ne consegue la formazione, in tale limitato ambito, del c.d. “condominio parziale”, ai sensi del 1123 che richiama anche”opere od impianti”. Poiché va comunque informato l’amministratore, di norma gli si dà il mandato di organizzare il necessario lavoro e di scegliere l’impresa esecutrice di comune accordo con i soli condomini richiedenti; mentre l’assemblea verrà coinvolta solo se si rendano necessarie modifiche delle parti comuni.

Rumori in condominio: definizioni e un esempio

La legge 447/95 introduce per la prima volta il concetto di inquinamento acustico, ma bisognerà attendere i DPCM del 14/11/97  per aver fissati i limiti assoluti e di attenzione, a seconda della zonizzazione del territorio (protetto, residenziale, misto, industriale, etc.) e differenziali, ovvero quanto può un rumore per essere considerato tale, superare il “fondo”. Inoltre con il DPCM del 5/12/97 si definiscono i requisiti acustici passivi in edilizia e i requisiti delle sorgenti, ovvero l’isolamento acustico minimo delle strutture, quali muri, divisori e aperture e i livelli di emissione delle sorgenti (il valore in dB che troviamo ad esempio, sull’etichetta della lavatrice o della lavastoviglie in negozio).
Detto questo per rumore si intende un emissione sonora che provoca fastidio, disagio e/o disturbo al riposo e l’esposizione prolungata ad emissioni rumorose può indurre un vero e proprio danno all’organismo (passeggero o cronico).
Anche se il “danno biologico” va rigorosamente dimostrato (Cassazione civile n. 661/2017), il risarcimento del danno non patrimoniale scatta anche senza prova dell’effettiva esistenza dei danni stessi: in questi termini si è espressa la Cassazione con la sentenza 1606/2017.

I casi più comuni in condominio sono il disturbo dovuto ad impianti sonori (TV o HiFi) in casa oppure elettrodomestici, impianti condominiali (pompe o scarichi) oppure all’uso di calzature a suola rigida (rumore da calpestio).

Vediamo ora un esempio reale:

Teatro della contesa, un cortile trevigiano: un fratello vi esercita attività di lavorazione del ferro; l’altro vi abita e ne subisce le immissioni, fin tanto che decide di rivolgersi al Tribunale, che gli dà ragione. Le immissioni superano di 3 dB il rumore di fondo, anche se solo in alcuni giorni ed orari: il Tribunale ordina la cessazione delle immissioni, l’inibizione all’uso di determinati macchinari e il risarcimento dei danni.
La Corte d’Appello di Venezia conferma la condanna. E si configura il reato di cui all’articolo 659 del Codice penale (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) e scatta quindi l’obbligo di risarcire il danno non patrimoniale, a norma dell’articolo 2059 del Codice civile.
La Corte di Cassazione, con sentenza 1606/2017, conferma i due precedenti gradi e fa chiarezza nella materia:
a) in tema di immissioni, i rapporti tra privati proprietari di fondi vicini vanno risolti sulla base dell’articolo 844 del Codice civile, anche se vi siano norme più permissive che disciplinino i rapporti con la pubblica amministrazione;
b) il limite di tollerabilità è relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo e non può prescindere dalla rumorosità di fondo;
c) solo un esperto, scelto dal giudice, è in grado di accertare strumentalmente l’intensità dei suoni o delle emissioni di vapori o gas, nonché il loro grado di sopportabilità per le persone, mentre i testimoni tendono ad esprimere giudizi valutativi di tipo soggettivo;

d) il danno non patrimoniale da immissioni illecite è risarcibile anche in assenza di un danno biologico documentato, «quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e del diritto alla piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti».

Sale sul marciapiede davanti al condominio: obbligo condominiale?

Molti comuni hanno deliberato attribuendo ai condòmini l’onere di curare la manutenzione del tratto di marciapiede antistante lo stabile, liberandosi così dalle spese di gestione dei marciapiedi e dalla responsabilità in caso di incidenti dovuti alla mancata o parziale manutenzione.

Il marciapiedi antistante al condominio, a differenza dei cortili e degli spazi interni, è suolo pubblico e quindi come tale la sua gestione è totalmente a carico della pubblica amministrazione. Il Decreto legislativo 285/92 (Codice della Strada) definisce chiaramente il concetto di strada pubblica e include i marciapiedi nel demanio.  Infatti l’articolo 3, numero 33, specifica che si intende per marciapiede «parte della strada, esterna alla carreggiata, rialzata o altrimenti delimitata e protetta, destinata ai pedoni». Ed è quindi illegittimo che una semplice ordinanza comunale deroghi ad un decreto legislativo.