Archivi tag: Condominio

UNI 10200: un breve excursus e casi particolari

Successivamente all’installazione di sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore, le spese di riscaldamento, come disposto dispone dal Dlgs 102/2014 (articolo 9, comma 5, lettera d) sono da ripartire tra i singoli condòmini in base ai criteri stabiliti dalla norma Uni 10200.

La norma, si basa sul principio cardine secondo il quale ciascun utente deve pagare in relazione all’effettivo consumo, ma la ratio risulta di fatto più “nobile”, in quanto ha come scopo ultimo la riduzione di emissione di gas serra da parte degli impianti di riscaldamento, principale fonte di emissione di CO2.

La disposizione risulta  inderogabile, ovvero non può essere messa in discussione da un regolamento condominiale di natura contrattuale, né tantomeno essere modificata dall’assemblea di condominio.

Consumo volontario ed involontario

Il totale del costo per il riscaldamento condominiale viene ora diviso in prelievo volontario, connesso all’effettivo consumo, e in costo involontario derivante dalle perdite e dalle inefficienze dell’impianto.

La quota di consumo involontario viene computata in sede di diagnosi da parte di un termotecnico, valutando in modo analitico il sistema di produzione (caldaia) e di distribuzione (tubazioni/montanti) e quindi sintetizzata nella nuova tabella di riscaldamento.

La quota volontaria può essere calcolata in modo esatto (diretto) mediante l’applicazione di contatori di calore per ogni appartamento, ma la gran parte degli impianti è strutturata a montanti pertanto l’apposizione di contacalorie risulta poco economica. In questi casi si utilizza la cosiddetta contabilizzazione indiretta, mediante l’applicazione di ripartitori sui singoli termosifoni, i quali registrano la temperatura di questi ultimi nel tempo, misurazioni che vengono poi parametrizzate dal tecnico secondo la tipologia di radiatore (numero di elementi, materiale, etc.) per ottenere un numero che ci indica con buona approssimazione il reale consumo di calore.

Se lo stesso generatore, oltre che al riscaldamento, è adibito alla produzione di acqua calda sanitaria, bisogna stabilire la quantità di energia prodotta a tal fine. In questi casi la miglior soluzione è installare due contatori generali che misurino l’energia utilizzata per il riscaldamento e i consumi di acqua calda sanitaria.

Esclusione dalla norma

Esistono comunque dei casi in cui non è tecnicamente possibile applicare la norma Uni 10200, o il suo utilizzo è sperequato in termini di costi rispetto all’obiettivo del risparmio energetico.

Come previsto dal Dlgs 141/2016 (che ha modificato, sul punto, il Dlgs 102/2014), questo si verifica quando «siano comprovate, tramite apposita relazione tecnica asseverata, differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio o l’edificio polifunzionale superiori al 50 per cento».

Quindi in presenza di una relazione tecnica che attesti tale differenza di fabbisogno termico, l’assemblea può decidere di suddividere le spese attribuendo almeno il 70% di consumo volontario e ripartendo la restante percentuale in proporzione alla superficie, alla cubatura o al valore (millesimi di proprietà).

La maggioranza in assemblea

In presenza di una prestazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le delibere possono essere assunte con la maggioranza degli intervenuti e almeno 333 millesimi (articolo 26, comma 2, della legge 10/1991).

Anche se vi è un orientamento giurisprudenziale il quale considera che, visto il carattere inderogabile della norma, non è necessaria alcuna delibera, e l’assemblea si limiterà a votare (con la maggioranza semplice) l’affidamento dell’incarico al tecnico che andrà a compilare la relazione tecnica sulle eventuali differenze di fabbisogno termico.

Resta sempre e comunque fermo il diritto del condomino a impugnare il voto dell’assemblea che approva il rendiconto usando un criterio di riparto delle spese ritenuto illegittimo.

Nuove disposizioni interne per i versamenti delle rate condominiali

Gentile condomina/o, vista la presenza di offerte da parte delle banche di conti correnti con bonifico on-line a costi irrisori e con alta facilità di utilizzo, consci inoltre, dell’inquinamento prodotto dagli spostamenti necessari per effettuare i pagamenti e per il successivo trasferimento verso la banca, che si stima per i soli condomini da noi gestiti, in circa 4 tonnellate di CO2 emessa in atmosfera ogni anno, siamo a comunicare che a partire dal 1 novembre 2018 non sarà più possibile versare le rate condominiali presso lo studio dell’amministratore.

Tutti i versamenti dovranno essere effettuati tramite bonifico.

Gli over 70 non dovranno preoccuparsi, saranno comunque accettati gratuitamente i versamenti nel caso gli stessi venissero effettuati da persone con almeno 70 anni compiuti, o nel caso di handicap che non permetta o limiti l’uso del computer o dello smartphone, in caso contrario sia per i contanti che per gli assegni dovranno essere imputate delle spese di gestione e trasferimento versamento aggiuntive di 4 euro per ogni versamento, che saranno in parte devoluti per progetti di riforestazione in Italia e nel mondo.

5% di sconto per chi si reca in bici all’ assemblea condominiale: un’iniziativa dello Studio Cerello & Chesini a favore della mobilità sostenibile

Il trasporto su gomma insieme ai sistemi per il riscaldamento contribuiscono all’immissione in atmosfera di gas serra, responsabili del riscaldamento globale.

ca. 1986, Delegacion Miguel Hidalgo, Mexico City, Mexico --- A major street in the Miguel Hidalgo area of Mexico City is clogged with traffic and smog during the morning rush hour. --- Image by © Stephanie Maze/CORBIS
ca. 1986, Delegacion Miguel Hidalgo, Mexico City, Mexico — A major street in the Miguel Hidalgo area of Mexico City is clogged with traffic and smog during the morning rush hour. — Image by © Stephanie Maze/CORBIS

Anche l’inquinamento da particolato non può essere sottovalutato ed è un problema molto rilevante oggigiorno, visto che le particelle fini prodotte dai moderni motori si insinuano fino a livello alveolare, contribuendo alla genesi di molte patologie purtroppo anche oncologiche.

Una vita sedentaria e poco attiva inoltre ha ricadute dirette sulla nostra salute e può essere un ulteriore fattore di richio per diverse patologie.

Per questo motivo lo Studio Cerello & Chesini da sempre sensibile in materia di salute e ambiente, promuove il trasporto sostenibile con un’iniziativa a favore dei condomini.

Anche quest’anno se la maggioranza dei presenti si recherà all’assemblea di chiusura bilancio utilizzando la bicicletta come mezzo di locomozione, il condominio avrà diritto ad uno sconto del 5% rispetto al tariffario, sull’onorario della successiva gestione ordinaria. Un ulteriore 5% sarà applicato se il condominio si trova a più di 5km dalla sede dell’assemblea.

1447147463_einstein-bicycle

L’offerta è valida per tutto il 2018.

Barbeque in condominio: come evitare le liti

L’utilizzo del barbecue per le classiche grigliate estive è un’usanza abbastanza comune ma è noto che normalmente, esso risulta sgradito e può essere talvolta dannoso per gli altri condomini le cui abitazioni vengono inevitabilmente invase da fumi e odori dei vicini.


Per evitare conflitti non resta che limitare le conseguenze dell’uso di tali apparecchi, tenendo conto che bisogna in ogni caso rispettare la normativa sulle immissioni, nonché le norme sulle distanze e le eventuali rigorose prescrizioni contenute nei regolamenti comunali e condominiali. L’ultima pronuncia, che configura addirittura un reato, è la sentenza 15246/2917, per la quale è consuetudine la presunzione assoluta di nocività o pericolosità, superabile solo con la adozione degli opportuni accorgimenti, ovviamente variabili in base alle situazioni concrete.
Il pericolo delle immissioni intollerabili
Come ha precisato il giudice di pace di Torino (con sentenza del 10/06/2010) i fumi e gli odori provenienti dal barbecue, vista la vicinanza e le immissioni che la cottura è in grado di sviluppare, sono idonee a provocare un sensibile disturbo e disagio in un’abitazione privata e contribuiscono a deprimervi la qualità della vita, rendendo quindi applicabile la fattispecie di cui all’art. 844 c.c..
Tale disposizione precisa, tra l’altro, che le immissioni di fumo provenienti dal fondo del vicino, non possano superare la normale tollerabilità.

In ogni caso se le immissioni sono insopportabili e frequenti il giudice può condannare il condomino proprietario del barbecue non solo all’adozione di misure idonee ad evitare immissioni sul fondo del vicino ma anche al ristoro dei pregiudizi non patrimoniali subiti dal danneggiato (e non solo se è sorto un danno biologico ma anche se vi è stata, ad esempio, la lesione del diritto alla vivibilità della propria abitazione, la cui prova può essere fornita dal danneggiato anche mediante presunzioni sulla base delle nozioni di comune esperienza).
L’accertata esposizione ad immissioni intollerabili, però, non costituisce di per sé prova dell’esistenza di un danno alla salute, la cui risarcibilità è subordinata all’accertamento dell’effettiva esistenza di una lesione fisica o psichica.
Del resto, il danno derivante dalle immissioni di fumo, provenienti dal camino-barbecue del vicino, non dà diritto a ottenere il risarcimento del danno se di trascurabile entità.
Barbecue e regolamento di condominio
Prima di procedere alla grigliata è necessario leggere attentamente il regolamento di condominio che può contenere una norma di natura contrattuale (accettata da tutti i condomini nei rogiti) che vieta espressamente l’uso di barbecue o ne impedisce indirettamente l’uso, vietando la cottura di cibi negli spazi pertinenziali privati.
Se esistono tali disposizioni è irrilevante che le immissioni di fumo siano tollerabili: infatti le grigliate sono di fatto proibite (anche al conduttore) e ogni condomino può pretendere, anche giudizialmente, il rispetto del regolamento.
In ogni caso si deve tenere conto pure di quelle norme che stabiliscono modalità e orari per svolgere attività potenzialmente fastidiose o rumorose, come le feste organizzate intorno al barbecue.
Barbecue e rapporti di vicinato
Bisogna considerare che se un condomino utilizza un barbecue abusivo (realizzato senza permesso) consistente in una vera e propria fornace di notevoli dimensioni, con struttura portante in mattoni e cemento, chiusa da due lati, dal cui tetto spiovente in tegole si elevano dei comignoli, il vicino disturbato potrebbe interrompere le grigliate richiedendo la demolizione del manufatto illecito.
Infatti, la nozione di pertinenza urbanistica è meno ampia di quella civilistica e non può consentire la costruzione di opere consistenti, in quanto l’impatto volumetrico incide in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio e, conseguentemente, si rende necessario il rilascio di permesso di costruire.
Del resto tali strutture richiedono, se assentite, il rispetto delle distanze legali.
In ogni caso si deve tenere conto dell’articolo 890 c.c. che disciplina le distanze da osservare per la realizzazione di opere potenzialmente pericolose (Cass. 15246/17).
Tale norma prevede che, nel caso in cui si vogliano realizzare forni occorre osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza.
In particolare nel caso in cui vi sia un regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza minima, si prescinde da ogni accertamento concreto, trattandosi in questi casi di una presunzione di pericolosità assoluta;
In difetto di una disposizione regolamentare comunale, si ha invece una presunzione di pericolosità relativa, che può essere superata ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che, mediante opportuni accorgimenti, può ovviarsi al pericolo od al danno del fondo vicino.
Se tale prova non viene fornita, sarà il giudice, di volta in volta, a stabilire (coadiuvato dai propri consulenti tecnici) quale sia la distanza minima da rispettare per evitare che le esalazioni nocive raggiungano i condomini vicini.

In sostanza prima di installare un barbecue e di utilizzarlo, magari sarebbe cortesia domandare a chi potenzialmente potrebbe subire le esalazioni, se questo da fastidio. Solitamente almeno che non facciate grigliate un giorno si ed uno no, questa precauzione può essere sufficiente per evitare una lite.

Tassa affitti brevi: al via dal 17 luglio

Lunedì 17 luglio scatta il primo appuntamento tra il fisco e i altri portali che si occupano di affitti a breve termine (AirBnB et al.). La manovra correttiva ha introdotto difatti, l’obbligo per i soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, di comunicare al fisco i dati sui contratti e trattenere una somma pari al 21% se intervengono nel pagamento o incassano i corrispettivi.

Entro il 17 luglio andranno quindi versate le imposte relative agli affitti a partire dal 1° giugno: si tratta di una tassazione “secca” del 21% che viene trattenuta direttamente dagli intermediari, i quali a loro volta devono “girare” gli importi alle Entrate.

Airbnb e le altre società che offrono il servizio di intermediazione immobiliare per le locazioni non superiori a 30 giorni devono, da questo mese, farsi carico di trasmettere al fisco i dati relativi ai contratti conclusi. In particolare, devono comunicare il nome, cognome e codice fiscale del locatore, la durata del contratto, l’importo del corrispettivo lordo e l’indirizzo dell’immobile. La predisposizione e la trasmissione dei dati deve avvenire attraverso i canali telematici dell’Agenzia.

Secondo quanto previsto dalla manovra correttiva 2017, ai redditi che derivano da questi contratti, stipulati dal 1° giugno 2017, si applicano in via opzionale le disposizioni relative al regime della cedolare secca con l’aliquota del 21% sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali sui redditi derivanti dalla locazione. La ritenuta va versata entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è effettuata. Per il versamento va utilizzato il codice tributo “1919” denominato “Ritenuta operata all’atto del pagamento al beneficiario di canoni o corrispettivi, relativi ai contratti di locazione breve – articolo 4, comma 5, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50”.

Antenne televisive in condominio: considerazioni post-riforma

Per poter usufruire dei programmi tv a pagamento, o per potesrsi collegare al satellite (Tv-Sat) data l’insufficienza del digitale terrestre, è necessaria l’installazione di una parabola.

In condominio i risvolti, come noto, possono essere molteplici: salvaguardia del decoro architettonico dell’edificio e dell’aspetto paesaggistico, compatibilità con i regolamenti comunali, decisioni delle assemblee sugli assetti condominiali.

Vediamo innanzitutto le diverse casistiche.
Antenna singola
Il diritto all’installazione di impianti radiotelevisivi è ora per la prima volta esplicitamente regolato, nella normativa condominiale, dal 1122-bis c.c. introdotto dalla riforma del 2012. In passato, si erano avute a varie riprese (dalla legge n. 554/1940 a tutti i provvedimenti successivi, poi assorbiti nel D.Lgs. 259/2003) disposizioni di carattere generale che confermavano questa facoltà riconosciuta dalla giurisprudenza come diritto soggettivo perfetto di natura personale (Cass. 12295/03, ma già Cass. S.U. 3728/76) al quale vien data la base costituzionale (art. 21) del diritto all’informazione (Cass. 7418/83). Il termine “radiodiffusione”, usato dalle precedenti leggi, si riteneva comprensivo anche della diffusione televisiva (v. già Cass. 2862 /94 e poi D.M. delle comunicazioni 11/11/05). Tale diritto compete, oltre che al condomino, anche al conduttore (Cass. 1176/86 e D.Lgs. 259/03 che parla all’art. 91 di “richieste di utenza degli inquilini o dei condomini”).
Le antenne si possono collocare su qualsiasi parte dell’immobile, anche altrui, purchè rispettino le seguenti condizioni poste dal complesso delle varie norme interessate:

a) recare il minor pregiudizio alle parti comuni ed alle proprietà private;

b) preservare in ogni caso il decoro architettonico, la stabilità e sicurezza dell’edificio;

c) non pregiudicare il libero uso della proprietà altrui secondo la sua destinazione;

d) non impedire agli altri condomini di fare parimenti uso del bene comune secondo il loro diritto;

e) non alterare la destinazione di tale bene. La possibilità di un “minimo pregiudizio” costituisce una deroga al principio generale di evitare ogni danno alle parti comuni (v. ad es. 1122) ed ai beni privati (209 D.Lgs. 259/03).

L’installazione non richiede alcuna autorizzazione e può avvenire sulle parti private altrui solo nell’impossibilità di utilizzare spazi propri o di avvalersi di un’antenna comune (Cass. 9427/09 e Cass. 9393/05). I proprietari delle varie unità immobiliari devono consentire l’accesso per la progettazione e l’esecuzione delle opere; gli stessi ed il condominio non possono opporsi nemmeno al passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto (con i limiti di salvaguardia sopra indicati).
Il criterio generale di preventiva informazione dell’amministratore per ogni opera da eseguire nell’edificio (su beni propri o condominiali) si applica, per l’antenna, solo se occorre procedere a modifiche delle parti comuni. In tal caso scatta una particolare procedura che vede l’assemblea legittimata (con la maggioranza di 2/3 del valore edificio) ad imporre modalità “alternative” di esecuzione, cautele a salvaguardia della stabilità, sicurezza o decoro del fabbricato, nonché garanzie per eventuali danni. Naturalmente, in caso di disaccordo si arriverà all’intervento del giudice e dei periti. Si può, comunque, ritenere che l’amministratore debba procedere alla convocazione dell’assemblea straordinaria (e senza indugio) solo quando ciò si dimostri necessario od anche solo opportuno, secondo la comune esperienza, per il tipo e l’entità delle modifiche evidenziate dal contenuto specifico e dalle modalità di esecuzione che l’utente è obbligato ad indicare. L’amministratore può avvalersi del parere del consiglio di condominio, ma in definitiva la responsabilità per ogni valutazione rimane a suo carico.
L’antenna individuale, in quanto diritto autonomo ed insopprimibile, è indipendente dall’esistenza originaria o sopravvenuta della centrale condominiale, che viene prevista da altra norma (1120 c.c.) senza che fra le due situazioni esista gerarchia di sorta; ed ancor prima degli accennati sviluppi legislativi i giudici avevano sempre riconosciuto l’autonomia del diritto del singolo, dichiarando nulla la delibera che vieta l’antenna per il solo fatto dell’esistenza di un impianto centrale (Cass. 7825/90; Cass. 5399/85). Di conseguenza l’assemblea non può impedire l’installazione, né imporre la rimozione dell’antenna; ed a sua volta l’amministratore non potrebbe eseguire una delibera palesemente nulla (a pena anche di eventuali reati, come ad es. danneggiamento).
Le stesse caratteristiche del diritto, che ne escludono la natura “affievolita” (cioè di interesse legittimo), impediscono che le normative dei Comuni possano pregiudicarlo. In linea di massima gli enti territoriali possono incidere su luogo e modalità di posizionamento (ubi e quomodo) ma non sull’an (installazione), poiché il diritto è garantito da leggi dello Stato; mentre invece possono pretendere che le parabole siano accorpate. Gli aspetti che vedono il loro intervento sono essenzialmente due. Il primo riguarda la tutela del paesaggio, che ha un fondamento costituzionale nell’art. 9 Cost. La l. 249/1997 (c.d.”legge Maccanico”) aveva imposto ai Comuni di emanare un regolamento sull’installazione degli apparati di ricezione delle trasmissioni radiotelevisive satellitari nei centri storici al fine di garantire la salvaguardia degli aspetti paesaggistici. Il perseguimento di un tale interesse pubblico e l’ineludibile tutela di un diritto individuale comporta la necessità di un bilanciamento fra le due situazioni protette, che si richiamano a norme di rango primario.
L’altro campo di intervento è quello del decoro architettonico, che la nuova disciplina impone di “preservare in ogni caso” (1122-bis). La perentorietà della disposizione porta a ritenere che la linea di tolleranza finora tendenzialmente adottata deve subire un’inversione di rotta perchè, dopo la riforma, la tutela di questo bene viene a prevalere sul diritto all’antenna, trasformato in “anarchia” da un inarrestabile fenomeno di massa (relativo a parabole, climatizzatori, telefonia, ecc.) che ha modificato in qualche misura il comune senso dell’estetica e del decoro. In genere i regolamenti edilizi locali consentono solo antenne e parabole centralizzate sul tetto ovvero, in caso di impossibilità tecnica, antenne singole ridotte al minimo poste sempre sulla copertura e non sulla facciata.
Il problema è che non esiste una definizione legislativa del decoro architettonico e la sua valutazione deve essere perciò effettuata caso per caso, con un’indagine di fatto riservata al giudice di merito (già Cass. 428/84 e da ultimo Cass. 20985/14). Secondo gli indirizzi giurisprudenziali, è vietata quell’opera che alteri le linee architettoniche del fabbricato o che si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso. Bisogna aver riguardo sia all’intero edificio che a singole parti o elementi dello stesso dotati di sostanziale autonomia, ed alla consequenziale diminuzione del valore di ciascuna delle unità immobiliari che lo compongono (Cass. 53/14; Cass. 1286/10, ecc.). Per una parte della giurisprudenza è necessario tener conto dello stato dell’edificio al momento in cui l’innovazione viene posta in essere e dunque la lesività estetica non è rilevante se il decoro architettonico era già stato gravemente compromesso da altre precedenti opere sull’immobile di cui non sia stato preteso il ripristino (Cass. 1286/10; Cass. 26055/14); ma un tale indirizzo non è univoco.
Nelle due situazioni finora delineate il giudice, nel caso di evidente pregiudizio all’aspetto paesaggistico o al decoro architettonico, non si limiterà semplicemente a disporre la semplice eliminazione della parabola (e con essa del diritto all’informazione), ma adotterà una soluzione che consente la salvaguardia di entrambi i valori in gioco. Se non è possibile una diversa collocazione delle parabole non rimane che la formazione di gruppi di utenze ovvero, in ultima analisi, il collegamento con un impianto centralizzato (sempre che esista per quel tipo di servizio, cosa da escludere in genere per la ricezione satellitare, a maggior ragione se a pagamento). Abbiamo visto che quest’ultima via è stata seguita dalla giurisprudenza in un altro caso di diritti configgenti, quando si trattava di invadere la proprietà altrui.
Rimangono salve, in ogni caso, eventuali clausole “contrattuali” del regolamento condominiale, che possono condurre anche al sacrificio di un diritto individuale; mentre le altre, di natura regolamentare, possono intervenire solo sulle modalità di installazione.


Antenna condominiale
Si deve intendere per impianto centralizzato quello idoneo a servire potenzialmente la generalità dei condomini ed installato sia per volontà del costruttore fin dall’origine, sia successivamente per effetto di delibera condominiale. L’orientamento del legislatore è di favorire la realizzazione di queste strutture, con particolare riguardo agli impianti satellitari. La norma già citata della l. 249/1997 (dove l’espressione “antenne collettive” va intesa come “antenne condominiali”) ne stabilisce l’obbligatorietà per tutti gli immobili di nuova costruzione o sottoposti a ristrutturazione generale; e la l. 66/2001 qualifica le opere di installazione di nuovi impianti satellitari come “innovazioni necessarie”. Il D.M. per lo sviluppo economico 22/1/2013, sulle regole tecniche per gli impianti (terrestri e satellitari) centralizzati d’antenna, indica come scopo la “riduzione ed eliminazione della molteplicità di antenne individuali, per motivi sia estetici sia funzionali”, ma fa salvo il già richiamato disposto del 209 D.Lgs. 259/2003 che garantisce il diritto all’antenna singola (ora, come s’è detto, ribadito e meglio disciplinato dal nuovo 1122-bis c.c.).
Posto, dunque, che la convivenza fra parabole individuali ed impianti centralizzati è perfettamente legittima, sia pure nel rispetto delle condizioni in precedenza indicate, il discorso si sposta sulla categoria di soggetti che devono sostenere l’onere dell’opera condominiale.
Nel caso di impianto (terrestre o satellitare) sorto insieme con l’edificio siamo in presenza di una “parte comune” (prevista ora dalla riforma al n. 3 del 1117) che obbliga tutti i condomini alle spese di gestione e conservazione (da ripartire in egual misura e non in base ai millesimi, perché l’uso della tv prescinde dalle dimensioni dell’appartamento: Cass. 2916/69). È difficile, in questa situazione, che possano sorgere antenne singole, attesa la mancanza di un interesse dell’utente che gode già dello stesso servizio offerto dal condominio e posto anche a suo carico; a meno che non si tratti di servizi aggiuntivi, satellitari (Tv-Sat, pay-tv) o terrestri.
Differente si profila la situazione quando l’impianto centralizzato viene successivamente deciso dall’assemblea condominiale con le maggioranze del 1120 c.c. La l. 66/2001 stabilisce che “le opere di installazione di nuovi impianti sono innovazioni necessarie” (art. 2-bis). Per alcuni autori non è dato sapere cosa in realtà il legislatore abbia voluto intendere con tale espressione. Si potrebbe pensare che lo scopo era quello di sottolineare (in modo poco felice) l’importanza dell’evoluzione tecnologica ed una preferenza verso questi nuovi strumenti per le maggiori opportunità che possono offrire in collegamento con il “mondo”; o più probabilmente che la suddetta qualifica serviva a giustificare l’originario ridotto quorum di un terzo dei condomini e delle quote millesimali (portato ora dalla riforma a 500 millesimi con la maggioranza degli intervenuti) che consentiva una più facile realizzazione. Altri, invece, ritengono che il carattere di “innovazione necessaria”, escludendo per definizione la natura voluttuaria dell’opera, negherebbe ai condomini dissenzienti la possibilità di invocare la norma (1121) sulle innovazioni “voluttuarie” per essere esonerati dal contributo.
La tesi non sembra convincente. Intanto la citata legge si riferisce solo agli impianti satellitari, per cui resterebbero incomprensibilmente esclusi dal carattere di “necessarietà” gli impianti tradizionali, che pure assolverebbero al compito di ridurre la selva delle antenne singole. In secondo luogo, il 1121 prevede anche l’esonero per l’innovazione “gravosa” e tale potrebbe risultare il nuovo impianto per chi ha già una sua fonte del servizio. Ma altri argomenti si possono aggiungere, ben più sostanziali.
In realtà, il problema va considerato sotto una diversa angolatura alla luce di talune indicazioni che provengono dal sistema: divisibilità del servizio (utilizzazione separata: 1121), possibilità di uso diverso del medesimo (1123), necessarietà di alcune parti comuni per l’esistenza dell’edificio (1117). Il servizio non si annovera tecnicamente tra i beni (cose ed impianti) e può formare oggetto solo di godimento in comune (Cass. 9096/2000). Ma anche per i servizi bisogna distinguere fra quelli necessari per la vita della comunità o destinati in permanenza per il titolo all’uso e godimento collettivo (ad es. servizi idrici, fognari, di illuminazione, fornitura del gas, portierato) e tutti gli altri. La Suprema Corte aveva ritenuto ammissibile la rinuncia agli impianti superflui o illegali, con il conseguente esonero della spesa per la loro conservazione (Cass. 4652/91). Nel caso in esame, più che di rinuncia, si tratterebbe di non partecipare all’uso di un servizio perché dello stesso già si gode in base ad un proprio impianto individuale che si ha diritto di mantenere; e la “misura diversa” (prevista dal 1123) in cui un condomino può servirsi del bene comprende anche il “livello zero”.
Non può l’assemblea violare la libertà della persona ed imporre un onere economico (contributo per l’impianto ed acquisto del decoder) giustificandolo con l’offerta di programmi diversi ed ulteriori, per il quali il condomino non ha interesse. A maggior ragione, poi, la decisione condominiale non è vincolante in quei casi (in verità piuttosto rari) di soggetti che non sono interessati alla tv e dovrebbero acquistare l’apparecchio, l’eventuale decoder e provvedere al pagamento del canone Rai. La legge parla di “servizi nell’interesse comune” (1123, 1130 n. 2) e non è tale il servizio televisivo centralizzato quando non risponde ai bisogni di alcuni condomini. Si aggiunga, infine, che esistono poi i programmi della tv a pagamento, per i quali un impianto condominiale vincolante richiederebbe l’unanimità di tutti i condomini. Si può, allora, concludere che l’antenna centralizzata obbliga alla spesa solo coloro che l’hanno accettata; e dunque la coesistenza di impianti singoli (quasi sempre parabole) e condominiali è, purtroppo, destinata a rimanere, con i limiti per l’antenna individuale (comunque non indifferenti) che sono stati descritti in precedenza.
L’opera in esame fa parte delle innovazioni “sociali o agevolate” di cui al secondo comma del 1120 c.c. e va approvata con i 500 millesimi, ma senza spiegare effetti obbligatori, come s’è appena detto, verso i condomini che godono già del servizio ed hanno diritto di mantenere la loro antenna. A questo punto, non si vede come possa attribuirsi alla norma una portata generale, poiché non siamo in presenza di una “innovazione” in senso tecnico se in sostanza si ricade nella installazione di un’antenna “collettiva” appartenente ad un gruppo di condomini (come spiegato nel paragrafo che segue) che non richiede alcuna maggioranza, tanto meno qualificata, ma solo il consenso degli aderenti. L’efficacia della disposizione si riduce all’ipotesi di un coinvolgimento di tutti i condomini od anche a quella di un bene “potenzialmente condominiale” che, pur rimanendo in uso ed a carico dei soli consenzienti, è predisposto tecnicamente per la possibile utilizzazione successiva degli altri condomini (si faccia l’ipotesi di obbligatorio smantellamento, iussu iudicis, di alcune parabole) secondo la logica dell’ultimo comma del 1121. Ma pure questa ridotta eventualità di configurare una “innovazione” con il suo quorum maggiorato viene a cadere quando l’opera non altera la destinazione del bene comune né limita il diritto d’uso degli altri condomini. Almeno questo è il senso da attribuire allo strano inciso introdotto nel 1120 (al n. 3 del secondo comma) “ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto”: la mancanza delle indicate modifiche elimina la qualifica di “innovazione” e ripristina la maggioranza ordinaria (di 1° o di 2° convocazione).
Nel caso di rinnovo dell’impianto per intervenuta obsolescenza, l’opera costituisce una miglioria, non un’innovazione; comunque delibera vincola sempre i soli condomini interessati.
Superfluo aggiungere che una chiarificazione legislativa sarebbe quanto mai necessaria su questi come su altri punti della riforma.
Antenna collettiva
Più condomini possono consociarsi per installare una parabola multiuso, per godere di servizi aggiuntivi (Tv-Sat, “pay-tv”) rispetto a quelli del digitale terrestre di cui è dotato il condominio oppure per supplire (specie nelle zone montane) all’insufficiente ricezione del digitale stesso, od infine (come sarebbe auspicabile) per disboscare la massa di antenne singole a tutto vantaggio dell’estetica dell’edificio. Un tale l’impianto può chiamarsi “collettivo”, per distinguerlo da quello condominiale che ha la sua fonte in una delibera assembleare rivolta ad una generalità di condomini. Richiamando quanto detto nel primo paragrafo, i regolamenti comunali potrebbero imporre l’accorpamento delle parabole in una o più (ma sempre limitate) antenne “collettive” per salvaguardare il decoro dell’edificio. Se, ad es., in un edificio vi sono più scale, è ragionevole che si installi una parabola per ogni scala a beneficio dei condomini che diano la loro disponibilità. Insomma, se non è possibile che le antenne siano un bene comune di tutti i condomini bisogna che siano almeno beni in comune di gruppi di condomini. In questi casi gli interessati provvedono a proprie spese all’impianto collettivo secondo la medesima procedura (1122-bis) illustrata per l’antenna individuale. Ne consegue la formazione, in tale limitato ambito, del c.d. “condominio parziale”, ai sensi del 1123 che richiama anche”opere od impianti”. Poiché va comunque informato l’amministratore, di norma gli si dà il mandato di organizzare il necessario lavoro e di scegliere l’impresa esecutrice di comune accordo con i soli condomini richiedenti; mentre l’assemblea verrà coinvolta solo se si rendano necessarie modifiche delle parti comuni.

Rumori in condominio: definizioni e un esempio

La legge 447/95 introduce per la prima volta il concetto di inquinamento acustico, ma bisognerà attendere i DPCM del 14/11/97  per aver fissati i limiti assoluti e di attenzione, a seconda della zonizzazione del territorio (protetto, residenziale, misto, industriale, etc.) e differenziali, ovvero quanto può un rumore per essere considerato tale, superare il “fondo”. Inoltre con il DPCM del 5/12/97 si definiscono i requisiti acustici passivi in edilizia e i requisiti delle sorgenti, ovvero l’isolamento acustico minimo delle strutture, quali muri, divisori e aperture e i livelli di emissione delle sorgenti (il valore in dB che troviamo ad esempio, sull’etichetta della lavatrice o della lavastoviglie in negozio).
Detto questo per rumore si intende un emissione sonora che provoca fastidio, disagio e/o disturbo al riposo e l’esposizione prolungata ad emissioni rumorose può indurre un vero e proprio danno all’organismo (passeggero o cronico).
Anche se il “danno biologico” va rigorosamente dimostrato (Cassazione civile n. 661/2017), il risarcimento del danno non patrimoniale scatta anche senza prova dell’effettiva esistenza dei danni stessi: in questi termini si è espressa la Cassazione con la sentenza 1606/2017.

I casi più comuni in condominio sono il disturbo dovuto ad impianti sonori (TV o HiFi) in casa oppure elettrodomestici, impianti condominiali (pompe o scarichi) oppure all’uso di calzature a suola rigida (rumore da calpestio).

Vediamo ora un esempio reale:

Teatro della contesa, un cortile trevigiano: un fratello vi esercita attività di lavorazione del ferro; l’altro vi abita e ne subisce le immissioni, fin tanto che decide di rivolgersi al Tribunale, che gli dà ragione. Le immissioni superano di 3 dB il rumore di fondo, anche se solo in alcuni giorni ed orari: il Tribunale ordina la cessazione delle immissioni, l’inibizione all’uso di determinati macchinari e il risarcimento dei danni.
La Corte d’Appello di Venezia conferma la condanna. E si configura il reato di cui all’articolo 659 del Codice penale (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) e scatta quindi l’obbligo di risarcire il danno non patrimoniale, a norma dell’articolo 2059 del Codice civile.
La Corte di Cassazione, con sentenza 1606/2017, conferma i due precedenti gradi e fa chiarezza nella materia:
a) in tema di immissioni, i rapporti tra privati proprietari di fondi vicini vanno risolti sulla base dell’articolo 844 del Codice civile, anche se vi siano norme più permissive che disciplinino i rapporti con la pubblica amministrazione;
b) il limite di tollerabilità è relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo e non può prescindere dalla rumorosità di fondo;
c) solo un esperto, scelto dal giudice, è in grado di accertare strumentalmente l’intensità dei suoni o delle emissioni di vapori o gas, nonché il loro grado di sopportabilità per le persone, mentre i testimoni tendono ad esprimere giudizi valutativi di tipo soggettivo;

d) il danno non patrimoniale da immissioni illecite è risarcibile anche in assenza di un danno biologico documentato, «quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e del diritto alla piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti».

Spese per manutenzione ed energia dell’ascensore a carico solo di chi ne fa uso

Prendiamo in considerazione il condomino che abita al piano terra o piano rialzato e che non abbia né soffitta ad uso privato né box/posto auto interrato, in tal caso è pacifico che non potrà usufruire dell’ascensore per accedere al suo appartamento e usufruire delle pertinenze private.

A meno di diverse disposizioni del regolamento condominiale contrattuale, il condomino che non usi l’impianto ascensore non debba partecipare alle spese manutentive e di conservazione dell’impianto di ascensore da lui non utilizzato, a norma dell’articolo 1124 del Codice civile – sostanzialmente confermato dalla Legge 220/2012 – per il quale, le scale e gli ascensori sono mantenuti e ricostruiti dai proprietari dei diversi piani “a cui servono”.
In materia si registrano però anche opinioni discordanti secondo cui anche i condomini non utenti – in quanto comproprietari dell’impianto in base agli atti notarili e al regolamento di condominio – sono tenuti a partecipare alle spese di ricostruzione dell’impianto di ascensore, ove sia dimostrato che l’ascensore serva per accedere alle parti comuni di cui tutti i condomini hanno diritto di usare.

Rimarranno comunque a suo carico le spese straordinarie come gli adeguamenti normativi e sostituzione non ordinaria di parti meccaniche e/o elettriche (funi, quadri di comando, etc.)

Sale sul marciapiede davanti al condominio: obbligo condominiale?

Molti comuni hanno deliberato attribuendo ai condòmini l’onere di curare la manutenzione del tratto di marciapiede antistante lo stabile, liberandosi così dalle spese di gestione dei marciapiedi e dalla responsabilità in caso di incidenti dovuti alla mancata o parziale manutenzione.

Il marciapiedi antistante al condominio, a differenza dei cortili e degli spazi interni, è suolo pubblico e quindi come tale la sua gestione è totalmente a carico della pubblica amministrazione. Il Decreto legislativo 285/92 (Codice della Strada) definisce chiaramente il concetto di strada pubblica e include i marciapiedi nel demanio.  Infatti l’articolo 3, numero 33, specifica che si intende per marciapiede «parte della strada, esterna alla carreggiata, rialzata o altrimenti delimitata e protetta, destinata ai pedoni». Ed è quindi illegittimo che una semplice ordinanza comunale deroghi ad un decreto legislativo.

Legge di bilancio 2017 – detrazioni ed ecobonus

Rimane a disposizione dei contribuenti ancora un anno per sfruttare l’ecobonus del 65 per cento. Gli anni sono addirittura cinque se si effettuano interventi condominiali, con l’ulteriore possibilità di sfruttare un maggior beneficio (al 70 o 75%).

Con la legge di bilancio 2017 vengono slittati termini delle detrazioni Irpef e Ires per la riqualificazione energetica degli edifici, inoltre ne vengono modificati i meccanismi e le azioni. Nelle singole unità immobiliari, la misura del 65% viene confermata fino al 31 dicembre 2017, ma per gli interventi relativi a parti comuni degli edifici condominiali, o che interessino il condominio in toto, la proroga arriva al 31 dicembre 2021.

La detrazione vale sempre per alcune categorie di lavori, con massimi di detrazione differenti: riqualificazione globale di edifici (100mila euro); interventi su pareti, tetti, solai (60mila euro); sostituzione o modifica di serramenti e infissi (60mila euro); installazione di pannelli solari termici (60mila euro); sostituzione di impianti di riscaldamento con caldaie a condensazione, pompe di calore o impianti geotermici (30mila euro); sostituzione di scaldacqua con quelli a pompa di calore (30mila euro); installazione di schermature solari (60mila euro); sostituzione di impianti di riscaldamento (o nuova installazione) con generatori a biomassa (30mila euro). Tutte queste opere restano incentivate, compresi i dispositivi domotici aggiunti lo scorso anno dalla legge di Stabilità 2016.

La riduzione dall’Irpef o dall’Ires continua a essere ripartita in dieci rate annuali di pari importo e restano valide le altre regole applicative, a partire dalla necessità di pagare con bonifico parlante.

Allo stesso modo, resta in essere l’iter necessario per ottenere l’ecobonus, che – rispetto all’agevolazione sul recupero edilizio – include l’invio della documentazione all’Enea entro 90 giorni dalla fine dei lavori e il vincolo di osservare particolari requisiti tecnici variabili in base al tipo di intevento eseguito.

Le novità riguardano anche le percentuali di detrazione destinate per la riqualificazione di parti comuni degli edifici condominiali. Nel caso l’eventuale intervento sull’involucro incida per oltre il 25% della superficie disperdente lorda dell’edificio, la detrazione diventa infatti pari al 70% della spesa e può salire al 75% se le opere sono finalizzate a migliorare la prestazione energetica invernale ed estiva, e conseguano almeno la qualità media ex Dm 26 giugno 2015 (Linee guida nazionali per la certificazione energetica). Le condizioni devono essere asseverate da professionisti abilitati e saranno verificate dall’Enea con controlli anche a campione.