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Mediazione: non ha luogo senza la presenza delle parti

Non è sufficiente la presenza dell’avvocato per la mediazione, obbligatoria per il contenzioso a livello di condominio, devono infatti presenziare anche le parti personalmente,  come stabilito dal Tribunale di Modena con ordinanza del 2 maggio 2016.

Qualora una delle parti (o entrambe) decidessero di non partecipare agli incontri, si darebbe luogo ad un altro iter per soluzione dei conflitti, che può sì, raggiungere il fine preposto, ma non certo può essere definito mediazione (Tribunale di Firenze, ord. del 19 marzo 2014).

L’istituto della mediazione ha in sostanza lo scopo di reinstaurare la comunicazione tra i litiganti e renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente una interazione mediata tra le parti.

Nell’ottica di garantire lo svolgimento della mediazione e stando a quanto indicato nell’art. 8, comma 1 d. lgs n. 28/2010 (modificato dall’art. 84 del d.l. n. 69 del 2013), sia al primo che agli incontri successivi, devono partecipare le parti personalmente assistite da un difensore, non essendo sufficiente che compaia unicamente quest’ultimo, nella veste di delegato della parte (Trib. Bologna 5 giugno 2014).

Laddove non tutte le parti si dovessero presentare, pena la pronuncia di improcedibilità della domanda non ritenendosi espletata la procedura compositiva e di conseguenza assolta la condizione di procedibilità, sarà onere del mediatore aggiornare l’incontro invitando le parti a comparire personalmente (questo principio è stato espresso dai Tribunali di Vasto il 9 marzo 2015 e di Pavia il 9 marzo 2015),

Determina poi, l’improcedibilità della domanda l’incontro meramente cartaceo, ovvero, quello ipotizzabile in presenza di missive, telegrammi o fax inviati dalle parti (renitenti alla comparizione personale) direttamente al mediatore o alla sede dell’organismo (Tribunale di Roma, 29 settembre 2014).

Non bisogna dimenticare, inoltre, che la mediazione obbligatoria è improcedibile anche se manca l’assistenza di un avvocato ( Tribunale di Torino, sentenza del 30 marzo 2016).

In particolare nell’ambito condominiale il condominio deve essere rappresentato dall’amministratore il quale dovrà convocare l’assemblea per ottenere la legittimazione a partecipare nonché per la nomina di un legale che rappresenti l’ente di gestione (articolo 71-quater delle disp. att. codice civile).

Nel caso in cui l’amministratore non dovesse informare il condominio dell’istanza di mediazione o non dovesse presenziare all’incontro e non dare attuazione al deliberato, può essere revocato giudizialmente in base all’articolo 1129, comma 12, n. 2 del Codice civile e tenuto al risarcimento del danno, eventualmente subito o che verrà subito, del condominio.

L’eventuale distacco non esonera dai costi di mantenimento

Un condomino si era distaccato dopo aver informato l’assemblea e presentato la relazione di un tecnico  che attestava l’assenza di conseguenze pregiudizievoli conseguenti al distacco stesso.
Il condomino ritenendo di aver adempiuto ai propri obblighi e di essersi legittimamene distaccato, non consentiva, ai tecnici, di installare i ripartitori per la contabilizzazione.
Il condomino, una volta appurato che anch’egli subiva i costi di mantenimento dell’impianto, adiva il tribunale affinché venisse accertata la legittimità del distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato con conseguente annullamento della delibere nelle quali gli si attribuivano i menzionati costi.
In base all’articolo 1118, ultimo comma del codice civile novellato dalla legge 220/2012, il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini.
Il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma, stante l’inderogabilità, ex articolo 1138 ultimo comma, codice civile, della disposizione di cui all’articolo 1118, secondo comma, codice civile, la quale stabilisce che il diritto sulle parti comuni è irrinunciabile e non è possibile sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la loro conservazione (articolo 1118, terzo comma, codice civile) .
Tale legittima rinuncia non è però consentita in presenza di un divieto esplicito in un regolamento di condominio di natura contrattuale, il quale se non può consentire la rinuncia all’uso dell’impianto centralizzato di riscaldamento, laddove sia mirato all’esonero dall’obbligo del contributo per le spese di conservazione e manutenzione di detto impianto, ben può invece vietare la rinuncia all’uso ossia al distacco del proprio impianto da quello centralizzato (Cassazione, sentenza n. 6923/2001).
Viene confermato, quindi, l’obbligo al pagamento delle spese per il riscaldamento e per i contabilizzatori.

È nullo il regolamento condominiale che vieta di tenere gli animali domestici in condominio

Non si può impedire ai condomini di tenere animali domestici, anche se tale divieto è previsto nel regolamento condominiale approvato all’unanimità.

E’ quanto stabilito dalla Seconda Sezione Civile del Tribunale Ordinario di Cagliari, con l’ordinanza del 22 luglio 2016. La vicenda in esame riguardava un condomino che aveva proposto ricorso ex art. 702 c.p.c. affinchè venisse dichiarato nullo e/o annullato e/o comunque dichiarato privo di efficacia, l’art. 7 del regolamento condominiale, che vietava l’accesso al Condominio agli animali domestici. Si costituiva in giudizio il Condominio, sostenendo la legittimità del divieto stabilito nel regolamento.

Il Tribunale adìto ha ritenuto viziata da nullità sopravvenuta la disposizione di cui all’art. 7 del regolamento del condominio  impugnato in quanto, con la L. n. 220/2012, è stato introdotto il principio secondo cui: “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”, applicabile a tutte le disposizioni contenute sia nei regolamenti di tipo contrattuale che assembleare, precedenti o successivi alla riforma del 2012.

Inoltre, il regolamento condominiale che si discosti da tale disposizione è affetto da nullità anche perché contrario ai principi di ordine pubblico, individuabili nella necessità di valorizzare il rapporto uomo-animale e nell’affermazione di quest’ultimo principio anche a livello europeo. Tali concetti sono contemplati in particolare, nella Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, firmata a Strasburgo il 13.11.1987, ratificata ed eseguita in Italia con la Legge 201/2010, nonchè nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, ratificato dalla Legge 130/2008, che all’articolo 13, prevede che l’Unione e gli Stati membri “tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”.

Secondo le prime interpretazioni, occorreva che il divieto di accesso  e mantenimento degli animali domestici negli appartamenti fosse previsto nel regolamento condominiale votato all’unanimità dei condomini, in quanto andava ad incidere e limitare, facoltà comprese nel diritto di proprietà dei singoli, ovvero, in caso di regolamenti predisposti dall’originario unico proprietario, che fossero richiamati negli atti di acquisto, costituendosi con essi servitù reciproche.

In realtà, argomenta il giudice, occorre considerare un’altra interpretazione della norma, poiché il divieto indicato nell’art. 1138 c.c. rappresenta l’espressione dei principi di ordine pubblico, dalla cui violazione consegue la nullità insanabile della statuizione ad esso contraria. In effetti, le disposizioni contenute nei commi precedenti dell’art. 1138 c.c. stabiliscono regole circa l’adozione obbligatoria del regolamento ed al quorum necessario per la sua approvazione, facendo riferimento al c.d. regolamento assembleare, tuttavia, nessuna indicazione in merito alla natura del regolamento è indicata nella norma, in cui si parla genericamente di “regolamento di condominio”, e neppure nel comma contenente il divieto, in cui viene citato il “regolamento” senza altra specificazione. Dall’esame dell’art. 1138 c.c. e della norma contenente il divieto, non è possibile individuare a quale tipo di regolamento si faccia riferimento, per cui appare riduttivo applicare tale divieto al solo regolamento di tipo c.d. assembleare, ma va estesa a tutti i regolamenti di condominio, anche se approvati all’unanimità.

Pertanto, il Tribunale ha concluso sostenendo che la norma in esame non è strettamente connessa alle sole ipotesi di regolamento assembleare, ma costituisce un principio generale, valido per qualsiasi regolamento, per cui ha accolto la domanda proposta, dichiarando nullo l’art. 7 del regolamento del condominio.

In mancanza di accordo il posto auto nel cortile condominiale lo assegna il giudice

Sovente accade che tra i condòmini non vi sia accordo in merito all’uso della cosa comune e che, pertanto, l’assemblea non riesca a deliberare in merito.

Ciò accade in particolar modo quando si tratta di assegnare, ai singoli condòmini, i rispettivi posti auto nel cortile comune.

In questi casi ben può farsi ricorso all’autorità giudiziaria, affinché la stessa provveda d’ufficio all’assegnazione del posto auto di pertinenza dei singoli condòmini.

Innanzitutto, per quanto riguarda la competenza per tale genere di giudizi, è doveroso premettere come: “Le cause relative alla misura ed alle modalità d’uso dei servizi del condominio, di competenza del giudice di pace, sono sia quelle che riguardano le riduzioni o limitazioni quantitative del diritto di godimento dei singoli condomini sulle cose comuni sia quelle che concernono i limiti qualitativi di esercizio delle facoltà comprese nel diritto di comunione, in proporzione delle rispettive quote, mentre sono assoggettate alle ordinarie regole della competenza per valore quelle aventi ad oggetto la contestazione della titolarità del diritto di comproprietà sulle cose comuni” (Cass. civ. Sez. II Ord., 18/02/2008, n. 3937).

Con l’ulteriore specificazione che: “In tema di condominio, qualora venga impugnata una delibera assembleare, il riparto di competenza deve avvenire in base al principio contenutistico, ossia con riguardo al tema specifico del deliberato assembleare di cui l’attore si duole; ne consegue che è devoluta alla competenza per materia del giudice di pace – in quanto attinente alle modalità di uso dei servizi condominiali, ai sensi dell’art. 7, quarto comma, n. 2), cod. proc. civ. – la controversia relativa alle modalità di custodia della chiave di accesso al lastrico solare, a nulla rilevando che l’attore abbia dedotto come fondamentale motivo di censura la mancata inclusione di tale oggetto nell’ordine del giorno dell’assemblea condominiale” (Cass. civ. Sez. VI Ordinanza, 28/03/2011, n. 7074).

Viceversa, quando la limitazione dell’esercizio del diritto del condomino non riguarda le parti comuni bensì la sua proprietà esclusiva, è il caso in cui una clausola del regolamento condominiale ne limita appunto l’utilizzo da parte del condomino/proprietario, non si può ritenere che tale giudizio rientra tra le cause relative alla misura ed alle modalità d’uso dei servizi di condominio, di competenza del giudice di pace, proprio perché la controversia non attiene più alle parti comuni, di talché competente per materia sarà il Tribunale (Cfr.: Cass. civ. Sez. II, 31/10/2014, n. 23297).

Fatta questa doverosa premessa, passiamo all’esame della recente sentenza della Suprema Corte, n. 23118, emessa in data 12/11/2015.

Posta la presenza di un cortile comune adiacente il fabbricato di proprietà, uno dei comunisti evocava in giudizio l’altro, al fine di sentenziare lo scioglimento della predetta comunione ovvero, nel caso di impossibilità, l’individuazione e l’assegnazione all’interno dell’area comune di un posto-auto per ciascuna parte.

Sulla scorta della dedotta indivisibilità del bene il Tribunale, a seguito di Consulenza Tecnica d’Ufficio, provvedeva all’assegnazione dei posti-auto ad ognuno dei comunisti. Sentenza poi confermata dalla Corte d’Appello di Genova.

Proponeva ricorso per cassazione il comunista convenuto in primo grado eccependo, tra l’altro, la circostanza per la quale, con l’assegnazione giudiziale del posto-auto nel cortile condominiale avrebbe costituito un “nuovo diritto reale”, al di fuori di quelli tipici riconosciuti dal nostro ordinamento civilistico, oltre a pregiudicare l’utilizzo della cosa comune in tutta la sua estensione, in danno dei singoli condòmini, con violazione dell’art. 1102 c.c.

La Corte di Cassazione, con la predetta sentenza, ribadisce il proprio orientamento per il quale: “l’assegnazione dei posti-auto nel cortile comune costituisce manifestazione del potere di regolamentazione dell’uso della cosa comune, consentito all’assemblea del condominio” (Sez. 2, Sentenza n. 12485 del 19/07/2012).

Né può ritenersi effettivamente sussistente la creazione di una nuova fattispecie di diritto reale, considerato che: “né tale regolamentazione con relativa assegnazione di singoli posti-auto ai vari condomini determina la divisione del bene comune o la nascita di una nuova figura di diritto reale, limitandosi solo a renderne più ordinato e razionale l’uso paritario della cosa comune” (Sez. 2, Sentenza n. 6573 del 31/03/2015).

Ciò posto, l’assegnazione del posto-auto insistente nel cortile condominiale, attiene esclusivamente all’utilizzo dello stesso, disciplinandone l’uso, senza che possano emergere nuovi modi di acquisto della proprietà ovvero di altri diritti reali (enfiteusi, diritto di superficie, usufrutto, uso o di abitazione e servitù).

Di talché, deve valere il principio per cui, in mancanza di accordo tra condòmini ovvero nell’impossibilità di decidere nel merito oppure quando l’assemblea non sia stata neppure costituita, la regolamentazione dell’uso della cosa comune e, in particolare, l’assegnazione dei posti-auto sul bene comune, può essere richiesta e dichiarata dall’autorità giudiziaria (Cfr.: Cass. civ., Sez. II, 12/11/2015, n. 23118. Nello stesso senso in precedenza: Cass. civ. Sez. II Ord., 18/02/2008, n. 3937).

Fonte http://www.condominioweb.com/assegnazione-posto-auto-condominiale.12251#ixzz4KKgH56uF

Efficientamento, comfort e riscaldamento globale

Un involucro che disperda il meno possibile è la chiave, purtroppo non esiste efficientamento senza aver soddisfatto questo requisito.
Sembra una banalità, ma gli interventi obbligatori sugli impianti (contabilizzazione) sono per ora un palliativo, che ridurrà sì i consumi e quindi le emissioni di anidride carbonica (uno dei maggiori responsabili del riscaldamento globale) ma lo farà costringendo molte persone al freddo con lo spauracchio di un esoso costo a fine bilancio, cosa che non avverrebbe con un buon cappotto e infissi basso-emissivi installati ad arte.
Un importante cambio di mentalità è poi necessario. Sappiamo che interventi di efficientamento su edifici pluridecennali sono ammortizzabili, supponendo un costo abbastanza stabile dei combustibili, in non meno di 15 anni. D’altra parte non è lungimirante porre tutto sul piano economico in quanto il surriscaldamento globale sarà un problema sempre più importante e grave da sostenere per le prossime generazioni.
E’ la nostra responsabilità nei confronti del pianeta che ci offre da mangiare e vivere, dei nostri figli e nipoti.

La casa energeticamente indipendente

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